Separazione dei poteri
Separazione dei poteri
Espressione che indica un principio fondamentale per la costituzione di uno Stato liberal-democratico, in virtù del quale ogni funzione statale (legislativa, amministrativa e giudiziaria) deve essere esercitata da organi diversi (parlamento, governo, magistratura), ciascuno dotato di proprio potere di decisione, senza interferenze tra l’uno e l’altro.
La teoria della (—) era sconosciuta agli ordinamenti antichi e medievali.
La teorizzazione compiuta del principio risale all’opera di Montesquieu intitolata Lo spirito delle leggi (1748). In essa l’autore, riferendosi allo schema costituzionale inglese, fondato sulla distinzione tra la funzione di fare le leggi (affidata alle due camere, salvo il diritto di veto attribuito al re) e la funzione di farle eseguire (attribuita allo stesso sovrano), distingueva tra tra potere legislativo, esecutivo e giudiziario. Tuttavia, la separazione tra i poteri prefigurata da Montesquieu non era così netta da escludere ogni forma di collaborazione tra essi; in taluni casi, addirittura, era consentita la subordinazione dell’uno all’altro. Montesquieu si rifaceva all’enunciazione già fatta da Locke, il quale distingueva però tra funzione legislativa, esecutiva e federativa (relativa ai rapporti di politica estera). Tale tripartizione venne recepita dalla costituzione degli Stati Uniti d’America (1787).
Il principio della (—) venne poi accolto dalla Francia rivoluzionaria: nell’art. 16 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino e nella Costituzione del 1791. Quest’ultima attribuì il potere legislativo ad un’unica camera e quello esecutivo al sovrano e ciascuno di tali organi veniva dotato di competenze specialistiche e autonome da ogni altro potere.
Nell’Ottocento la dottrina tedesca di diritto pubblico accolse il principio della (—) come verità assoluta, ponendo alla base di uno Stato unitario e sovrano sempre e comunque l’esercizio di tre funzioni affidate ad organi diversi. Tale concezione squisitamente formalistica venne nel secolo XX confutata soprattutto da Kelsen. Egli, pur distinguendo tra potere di fare le leggi e potere di applicarle, sostenne che tale distinzione aveva un carattere quantitativo che qualitativo, dal momento che la produzione di norme giuridiche è una funzione che, in diversa misura, appartiene a tutti gli organi dello Stato e non solo a quello legislativo.
Attualmente la dottrina e la stessa pratica costituzionale si sono rese consapevoli dell’impossibilità di applicare rigorosamente tale principio nella complessa dinamica costituzionale. Molti meccanismi, infatti, sfuggono a tale rigida tripartizione: si pensi ad esempio al sempre più frequente esercizio di funzioni legislative delegate dal parlamento al governo e alla responsabilità politica del governo verso le camere nei regimi parlamentari.
Espressione che indica un principio fondamentale per la costituzione di uno Stato liberal-democratico, in virtù del quale ogni funzione statale (legislativa, amministrativa e giudiziaria) deve essere esercitata da organi diversi (parlamento, governo, magistratura), ciascuno dotato di proprio potere di decisione, senza interferenze tra l’uno e l’altro.
La teoria della (—) era sconosciuta agli ordinamenti antichi e medievali.
La teorizzazione compiuta del principio risale all’opera di Montesquieu intitolata Lo spirito delle leggi (1748). In essa l’autore, riferendosi allo schema costituzionale inglese, fondato sulla distinzione tra la funzione di fare le leggi (affidata alle due camere, salvo il diritto di veto attribuito al re) e la funzione di farle eseguire (attribuita allo stesso sovrano), distingueva tra tra potere legislativo, esecutivo e giudiziario. Tuttavia, la separazione tra i poteri prefigurata da Montesquieu non era così netta da escludere ogni forma di collaborazione tra essi; in taluni casi, addirittura, era consentita la subordinazione dell’uno all’altro. Montesquieu si rifaceva all’enunciazione già fatta da Locke, il quale distingueva però tra funzione legislativa, esecutiva e federativa (relativa ai rapporti di politica estera). Tale tripartizione venne recepita dalla costituzione degli Stati Uniti d’America (1787).
Il principio della (—) venne poi accolto dalla Francia rivoluzionaria: nell’art. 16 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino e nella Costituzione del 1791. Quest’ultima attribuì il potere legislativo ad un’unica camera e quello esecutivo al sovrano e ciascuno di tali organi veniva dotato di competenze specialistiche e autonome da ogni altro potere.
Nell’Ottocento la dottrina tedesca di diritto pubblico accolse il principio della (—) come verità assoluta, ponendo alla base di uno Stato unitario e sovrano sempre e comunque l’esercizio di tre funzioni affidate ad organi diversi. Tale concezione squisitamente formalistica venne nel secolo XX confutata soprattutto da Kelsen. Egli, pur distinguendo tra potere di fare le leggi e potere di applicarle, sostenne che tale distinzione aveva un carattere quantitativo che qualitativo, dal momento che la produzione di norme giuridiche è una funzione che, in diversa misura, appartiene a tutti gli organi dello Stato e non solo a quello legislativo.
Attualmente la dottrina e la stessa pratica costituzionale si sono rese consapevoli dell’impossibilità di applicare rigorosamente tale principio nella complessa dinamica costituzionale. Molti meccanismi, infatti, sfuggono a tale rigida tripartizione: si pensi ad esempio al sempre più frequente esercizio di funzioni legislative delegate dal parlamento al governo e alla responsabilità politica del governo verso le camere nei regimi parlamentari.