Ragion di Stato
Ragion di Stato
Teoria sviluppatasi sulla base del pensiero politico rinascimentale e della Controriforma, alla fine del ’500. Assai diffusa in Italia, si propagò poi nel resto d’Europa.
Sul significato teorico e pratico da attribuire alla locuzione (—) si discusse vivacemente, sin dalla metà del sec. XVI. Soprattutto, nella «ratio» dello Stato venne fatto confluire il concetto di interesse, ossia di utile politico. Nell’interesse così inteso si identificò il criterio che doveva guidare il principe nelle sue decisioni e la norma a cui dovevano conformarsi le azioni di governo. La (—) può essere considerata come lo studio delle condizioni dell’esistenza dello Stato, da cui ebbe origine il processo di astrazione e di distinzione dello Stato stesso da coloro (i governanti) che lo impersonano.
La trattatistica sulla (—) prese le mosse dall’ampio dibattito aperto da Il Principe di Machiavelli e dalla rinnovata fortuna di Tacito durante il XVI sec.
La ricerca si indirizzò verso l’esplorazione del rapporto tra politica e morale.
La prima esposizione sistematica della teoria della (—) si deve all’ecclesiastico piemontese Giovanni Botero, che nell’opera Della Ragione di Stato (1589) intese ripristinare i valori dell’etica senza distrarre lo Stato dalla logica utilitaria. Egli considerava la (—) una «notizia di mezzi atti a fondare, conservare ed ampliare un dominio». Più precisamente, Botero riteneva che tra il conservare e l’ampliare uno Stato sicuramente fosse opera più grande il conservare, dato che per ampliare occorreva la forza che è comune a molti, mentre per la conservazione occorreva la sapienza, che è prerogativa di pochi. Egli riconosceva nella religione un elemento essenziale per la conservazione e il rafforzamento dello Stato. In tal modo faceva coincidere l’interesse religioso con quello politico. Tuttavia, per quanto Botero avesse cercato di affievolire il concetto di (—) e di adattarlo alle esigenze della Chiesa e della morale, non poteva nascondere che, in ultima analisi, ogni azione politica è mossa da un interesse personale, per cui egli affermava che la (—) è ragione di interesse.
Anche il pensatore politico seicentesco Ludovico Zuccolo, nel saggio Della Ragion di Stato (1621), sostenne che la (—) è la conoscenza e l’uso dei mezzi per creare e mantenere una determinata forma di governo. Agire in conformità di tale dottrina significava ricercare ciò che è utile alla conservazione dello Stato e del suo regime politico. Egli sosteneva che non rientravano nella (—) quei provvedimenti politici adottati dai governanti nel loro personale interesse: dunque, era necessario operare una differenza tra la persona privata del principe e quella dello Stato.
Alla (—) Zuccolo assegnava solo il compito di difendere lo Stato e non anche l’interesse del principe. La (—) era giusta e prudente se volta ad assicurare uno Stato «buono», al contrario sarebbe stata ingiusta se diretta a mantenere uno Stato iniquo.
In questo gruppo di teorici si inserì Ludovico Séttala, anch’egli autore di una Ragion di Stato (1627) in sette libri. Le sue tematiche talvolta si avvicinano a quelle di Botero, ma è soprattutto ai tacitisti che egli si accosta quando raccomanda la lettura di Tacito per poter apprendere la «saggezza di Tiberio» il quale in nome della (—) deportava gli ebrei e la «saggezza di Nerone» che, in nome della stessa bruciava i cristiani. Séttala non individua il fine della (—) nel bene pubblico, ma nell’interesse del principe, e distingue due diversi generi di norme riguardanti la (—): la prima concerneva la sicurezza personale dei governanti, la seconda invece mirava alla salvaguardia della posizione politica esistente. Per il mantenimento del benessere dello Stato, il medico milanese consigliava una politica basata sulla prudenza, che mirasse a togliere ogni origine di malcontento e a creare un’atmosfera favorevole a chi governava.
Non diversamente dagli altri teorici, Séttala poneva la conservazione al primo posto tra i compiti della (—).
La (—) accolse anche motivi di modernità, come l’interesse per i problemi economici e finanziari, così come l’interesse per i problemi demografici e di politica estera.
L’esplorazione di questo tema si esaurì in Italia verso la metà del ‘600, mentre sarebbe rivissuta, sotto nuove e più complesse forme in Francia e in Germania, sotto la suggestione della politica di Richelieu e delle drammatiche vicende della guerra dei trent’anni (1618-1648).
Teoria sviluppatasi sulla base del pensiero politico rinascimentale e della Controriforma, alla fine del ’500. Assai diffusa in Italia, si propagò poi nel resto d’Europa.
Sul significato teorico e pratico da attribuire alla locuzione (—) si discusse vivacemente, sin dalla metà del sec. XVI. Soprattutto, nella «ratio» dello Stato venne fatto confluire il concetto di interesse, ossia di utile politico. Nell’interesse così inteso si identificò il criterio che doveva guidare il principe nelle sue decisioni e la norma a cui dovevano conformarsi le azioni di governo. La (—) può essere considerata come lo studio delle condizioni dell’esistenza dello Stato, da cui ebbe origine il processo di astrazione e di distinzione dello Stato stesso da coloro (i governanti) che lo impersonano.
La trattatistica sulla (—) prese le mosse dall’ampio dibattito aperto da Il Principe di Machiavelli e dalla rinnovata fortuna di Tacito durante il XVI sec.
La ricerca si indirizzò verso l’esplorazione del rapporto tra politica e morale.
La prima esposizione sistematica della teoria della (—) si deve all’ecclesiastico piemontese Giovanni Botero, che nell’opera Della Ragione di Stato (1589) intese ripristinare i valori dell’etica senza distrarre lo Stato dalla logica utilitaria. Egli considerava la (—) una «notizia di mezzi atti a fondare, conservare ed ampliare un dominio». Più precisamente, Botero riteneva che tra il conservare e l’ampliare uno Stato sicuramente fosse opera più grande il conservare, dato che per ampliare occorreva la forza che è comune a molti, mentre per la conservazione occorreva la sapienza, che è prerogativa di pochi. Egli riconosceva nella religione un elemento essenziale per la conservazione e il rafforzamento dello Stato. In tal modo faceva coincidere l’interesse religioso con quello politico. Tuttavia, per quanto Botero avesse cercato di affievolire il concetto di (—) e di adattarlo alle esigenze della Chiesa e della morale, non poteva nascondere che, in ultima analisi, ogni azione politica è mossa da un interesse personale, per cui egli affermava che la (—) è ragione di interesse.
Anche il pensatore politico seicentesco Ludovico Zuccolo, nel saggio Della Ragion di Stato (1621), sostenne che la (—) è la conoscenza e l’uso dei mezzi per creare e mantenere una determinata forma di governo. Agire in conformità di tale dottrina significava ricercare ciò che è utile alla conservazione dello Stato e del suo regime politico. Egli sosteneva che non rientravano nella (—) quei provvedimenti politici adottati dai governanti nel loro personale interesse: dunque, era necessario operare una differenza tra la persona privata del principe e quella dello Stato.
Alla (—) Zuccolo assegnava solo il compito di difendere lo Stato e non anche l’interesse del principe. La (—) era giusta e prudente se volta ad assicurare uno Stato «buono», al contrario sarebbe stata ingiusta se diretta a mantenere uno Stato iniquo.
In questo gruppo di teorici si inserì Ludovico Séttala, anch’egli autore di una Ragion di Stato (1627) in sette libri. Le sue tematiche talvolta si avvicinano a quelle di Botero, ma è soprattutto ai tacitisti che egli si accosta quando raccomanda la lettura di Tacito per poter apprendere la «saggezza di Tiberio» il quale in nome della (—) deportava gli ebrei e la «saggezza di Nerone» che, in nome della stessa bruciava i cristiani. Séttala non individua il fine della (—) nel bene pubblico, ma nell’interesse del principe, e distingue due diversi generi di norme riguardanti la (—): la prima concerneva la sicurezza personale dei governanti, la seconda invece mirava alla salvaguardia della posizione politica esistente. Per il mantenimento del benessere dello Stato, il medico milanese consigliava una politica basata sulla prudenza, che mirasse a togliere ogni origine di malcontento e a creare un’atmosfera favorevole a chi governava.
Non diversamente dagli altri teorici, Séttala poneva la conservazione al primo posto tra i compiti della (—).
La (—) accolse anche motivi di modernità, come l’interesse per i problemi economici e finanziari, così come l’interesse per i problemi demografici e di politica estera.
L’esplorazione di questo tema si esaurì in Italia verso la metà del ‘600, mentre sarebbe rivissuta, sotto nuove e più complesse forme in Francia e in Germania, sotto la suggestione della politica di Richelieu e delle drammatiche vicende della guerra dei trent’anni (1618-1648).