Potere costituente
Potere costituente
Potere libero nel fine che determina il sorgere dell’ordinamento statale, e lo caratterizza nei suoi elementi essenziali. Tale funzione viene esercitata dal popolo attraverso referendum o plebisciti, ma soprattutto mediante atti volti all’instaurazione di un nuovo ordinamento politico, effettuati anche in modo autoritario dalle forze politiche dominanti.
Il (—) pone la costituzione, ed è ad essa indissolubilmente legato. Il (—) opera presso una società indifferenziata, presso la quale si determina una distribuzione di forze, per cui una di esse è in grado di far valere la propria volontà e di farla avvertire come obbligante per gli altri soggetti, in maniera da instaurare rapporti di comando e di subordinazione.
Ci si è lungamente interrogati sulla natura del fenomeno del (—). Vi sono alcune teorie che escludono la natura giuridica delle attività volte ad instaurare un nuovo ordinamento. Questa considerazione è comune a Hans Kelsen e a Santi Romano (1875-1947). Le attività rivoluzionarie compiute per l’instaurazione di un nuovo ordinamento vengono, pertanto, considerate agiuridiche. Solo in caso di successo, il nuovo ordinamento potrebbe loro offrire una legittimazione, benché a posteriori.
Vi è chi, invece, vede il fenomeno giuridico nella formazione di un’organizzazione sociale: in tal caso il (—) non si pone come forza di fatto. Occorre però riconoscere il fattore che qualifica giuridicamente il (—). Esso è identificabile, per Costantino Mortati (1892-1985), nella convinzione della collettività, la quale trasforma il fenomeno sociale in fenomeno giuridico: il fatto assurge a diritto quando i consociati l’accettano. In tal senso, la convinzione riguardo la necessità di osservare determinati comportamenti diviene la fonte del (—). Tra le forze in campo quella in grado di prevalere pone la sua giuridicità: essa non potrà avere la meglio se non viene sostenuta o almeno accettata dalla maggior parte dei consociati.
Un aspetto fondamentale è l’identificazione del soggetto che esercita il (—). Esso può essere individuato nella popolazione (o nel popolo), inteso quale unità vivente unificata da una comune volontà, che assicura la continuità dello Stato. Molti, a partire da Sieyès, hanno fatto riferimento al concetto di Nazione, intesa come specifica qualificazione del popolo alla base dello Stato.
Vi è poi una serie di teorie elaborate dalle scuole francesi, italiane e tedesche che vengono definite «istituzionali». Esse hanno messo in risalto l’elemento «organizzazione», affinché una società viva quale entità ordinata intorno a determinati scopi e sia, in breve, «istituzione» dotata di giuridicità. Le dottrine istituzionali italiane danno un valore storico al fattore politico-sociale della costituzione, qualificando come un semplice «fenomeno» la volontà del popolo. Sono state le dottrine istituzionali tedesche a porre in risalto la positivizzazione dei valori politico-sociali. In particolare Carl Schmitt ha posto l’esigenza di comprendere, nel campo della giuridicità, l’assetto sociale risultante da un supremo principio politico in grado di formare la costituzione.
La teoria italiana della costituzione materiale (Mortati) ha posto con chiarezza i termini della questione. Essa ritiene che la costituzione non possa essere spiegata, se non mettendo in relazione il contenuto delle sue norme con i principi fondanti la società regolata dalle norme stesse. Il (—) nella teoria predetta è diretta espressione dei rapporti di forza politici. Il titolare del potere non viene identificato astrattamente con il popolo o con la nazione, ma nell’organizzazione politica costituitasi in base ai rapporti di forza esistenti, nell’insieme dei gruppi politici che, in equilibrio tra di loro, sono dominanti rispetto al resto della società.
Potere libero nel fine che determina il sorgere dell’ordinamento statale, e lo caratterizza nei suoi elementi essenziali. Tale funzione viene esercitata dal popolo attraverso referendum o plebisciti, ma soprattutto mediante atti volti all’instaurazione di un nuovo ordinamento politico, effettuati anche in modo autoritario dalle forze politiche dominanti.
Il (—) pone la costituzione, ed è ad essa indissolubilmente legato. Il (—) opera presso una società indifferenziata, presso la quale si determina una distribuzione di forze, per cui una di esse è in grado di far valere la propria volontà e di farla avvertire come obbligante per gli altri soggetti, in maniera da instaurare rapporti di comando e di subordinazione.
Ci si è lungamente interrogati sulla natura del fenomeno del (—). Vi sono alcune teorie che escludono la natura giuridica delle attività volte ad instaurare un nuovo ordinamento. Questa considerazione è comune a Hans Kelsen e a Santi Romano (1875-1947). Le attività rivoluzionarie compiute per l’instaurazione di un nuovo ordinamento vengono, pertanto, considerate agiuridiche. Solo in caso di successo, il nuovo ordinamento potrebbe loro offrire una legittimazione, benché a posteriori.
Vi è chi, invece, vede il fenomeno giuridico nella formazione di un’organizzazione sociale: in tal caso il (—) non si pone come forza di fatto. Occorre però riconoscere il fattore che qualifica giuridicamente il (—). Esso è identificabile, per Costantino Mortati (1892-1985), nella convinzione della collettività, la quale trasforma il fenomeno sociale in fenomeno giuridico: il fatto assurge a diritto quando i consociati l’accettano. In tal senso, la convinzione riguardo la necessità di osservare determinati comportamenti diviene la fonte del (—). Tra le forze in campo quella in grado di prevalere pone la sua giuridicità: essa non potrà avere la meglio se non viene sostenuta o almeno accettata dalla maggior parte dei consociati.
Un aspetto fondamentale è l’identificazione del soggetto che esercita il (—). Esso può essere individuato nella popolazione (o nel popolo), inteso quale unità vivente unificata da una comune volontà, che assicura la continuità dello Stato. Molti, a partire da Sieyès, hanno fatto riferimento al concetto di Nazione, intesa come specifica qualificazione del popolo alla base dello Stato.
Vi è poi una serie di teorie elaborate dalle scuole francesi, italiane e tedesche che vengono definite «istituzionali». Esse hanno messo in risalto l’elemento «organizzazione», affinché una società viva quale entità ordinata intorno a determinati scopi e sia, in breve, «istituzione» dotata di giuridicità. Le dottrine istituzionali italiane danno un valore storico al fattore politico-sociale della costituzione, qualificando come un semplice «fenomeno» la volontà del popolo. Sono state le dottrine istituzionali tedesche a porre in risalto la positivizzazione dei valori politico-sociali. In particolare Carl Schmitt ha posto l’esigenza di comprendere, nel campo della giuridicità, l’assetto sociale risultante da un supremo principio politico in grado di formare la costituzione.
La teoria italiana della costituzione materiale (Mortati) ha posto con chiarezza i termini della questione. Essa ritiene che la costituzione non possa essere spiegata, se non mettendo in relazione il contenuto delle sue norme con i principi fondanti la società regolata dalle norme stesse. Il (—) nella teoria predetta è diretta espressione dei rapporti di forza politici. Il titolare del potere non viene identificato astrattamente con il popolo o con la nazione, ma nell’organizzazione politica costituitasi in base ai rapporti di forza esistenti, nell’insieme dei gruppi politici che, in equilibrio tra di loro, sono dominanti rispetto al resto della società.