Non cognitivismo etico
Non cognitivismo etico
Con il termine (—) si fa riferimento a quelle posizioni filosofiche le quali negano la possibilità di conoscere i valori etici e l’autonomia della loro fondazione.
Per i non cognitivisti la vita morale è avalutativa, poiché essa è un’attività pratica, sulla quale non possono essere fatte valutazioni, né positive né negative. Per costoro non esiste un dover essere dell’uomo, non vi sono valori assoluti o fondamenti etici universali.
Malgrado tali premesse comuni, si può distinguere il (—) soggettivo dal (—) oggettivo.
Alla prima tendenza appartengono coloro i quali sostengono, in un’ottica individualistica, il primato del soggetto nella scelta dei comportamenti. Ogni scelta etica è una decisione dell’individuo, indipendente da qualsiasi scala di valori. In effetti non esiste una verità o un bene, ma esistono tante verità e tanti beni quanti sono i soggetti che compiono liberamente delle scelte.
Per il (—) oggettivo vi è coincidenza tra giudizi di fatto e giudizi di valore. In tale ottica, i valori morali vengono determinati dalla storia o dalla società. Il costume sociale si pone, in un certo periodo di tempo e in determinato spazio, come il dover essere, costituendo il valore verso cui tendere. Pertanto diventa quasi inevitabile identificare la morale con il diritto, perché quest’ultimo traduce in ordinamenti giuridici uno stato di fatto, vale a dire l’insieme dei comportamenti tenuti e accettati in un determinato luogo ed in una certa epoca storica.
Mentre per i non cognitivisti soggettivi, la giustificazione razionale della scelta viene ricondotta alla coerenza con le proprie convinzioni o alla tolleranza nei confronti degli altri, per i non cognitivisti oggettivi, la giustificazione razionale delle scelte morali è posta dalla società o determinata dall’evoluzione storica della morale.
Con il termine (—) si fa riferimento a quelle posizioni filosofiche le quali negano la possibilità di conoscere i valori etici e l’autonomia della loro fondazione.
Per i non cognitivisti la vita morale è avalutativa, poiché essa è un’attività pratica, sulla quale non possono essere fatte valutazioni, né positive né negative. Per costoro non esiste un dover essere dell’uomo, non vi sono valori assoluti o fondamenti etici universali.
Malgrado tali premesse comuni, si può distinguere il (—) soggettivo dal (—) oggettivo.
Alla prima tendenza appartengono coloro i quali sostengono, in un’ottica individualistica, il primato del soggetto nella scelta dei comportamenti. Ogni scelta etica è una decisione dell’individuo, indipendente da qualsiasi scala di valori. In effetti non esiste una verità o un bene, ma esistono tante verità e tanti beni quanti sono i soggetti che compiono liberamente delle scelte.
Per il (—) oggettivo vi è coincidenza tra giudizi di fatto e giudizi di valore. In tale ottica, i valori morali vengono determinati dalla storia o dalla società. Il costume sociale si pone, in un certo periodo di tempo e in determinato spazio, come il dover essere, costituendo il valore verso cui tendere. Pertanto diventa quasi inevitabile identificare la morale con il diritto, perché quest’ultimo traduce in ordinamenti giuridici uno stato di fatto, vale a dire l’insieme dei comportamenti tenuti e accettati in un determinato luogo ed in una certa epoca storica.
Mentre per i non cognitivisti soggettivi, la giustificazione razionale della scelta viene ricondotta alla coerenza con le proprie convinzioni o alla tolleranza nei confronti degli altri, per i non cognitivisti oggettivi, la giustificazione razionale delle scelte morali è posta dalla società o determinata dall’evoluzione storica della morale.