Nietzsche, Friedrich
Nietzsche, Friedrich Wilhelm (1844-1900)
Filosofo tedesco. Il suo pensiero, non privo di oggettive ambiguità e complessità, è stato variamente interpretato, visto talora con accenti autoritari, talaltra rimarcandone gli aspetti libertari. In quanto esaltazione della volontà di potenza e del superuomo, la sua filosofia venne utilizzata, ad esempio, per giustificare i regimi fascista e nazista (sebbene il filosofo tedesco rifiutasse i miti della nazione e della razza).
Studiò filologia classica nelle università di Bonn e di Lipsia. Nel 1863 scoprì con grande entusiasmo la filosofia di Schopenauer. Nel 1868 conobbe Richard Wagner. Dal 1869 al 1878 insegnò filologia a Basilea. Nel 1889 fu colpito una malattia mentale, che lo accompagnò fino alla morte.
In La nascita della tragedia (1872), (—) affrontò la tematica dell’arte, intesa come esaltazione della vitalità e come superamento del male insito nella realtà. Secondo (—) l’uomo greco era riuscito a superare la difficoltà e l’assurdità dell’esistenza grazie alla virtù trasfiguratrice dell’arte. Quest’ultima è la risultante della tensione fra il momento «apollineo» e quello «dionisiaco», ossia fra la contemplazione appagante e l’impeto orgiastico della vitalità. La tragedia del vivere, tuttavia, è nel costante rapporto tra i due momenti, tra il limite e l’illimitato.
Nell’opera Umano, troppo umano (1878), dedicata a Voltaire, (—) affermò che tutto ciò che è, è divenuto: il bene dal male, la verità dalla menzogna, la giustizia dai rapporti di forza.
Nel 1882 scrisse La gaia scienza, in cui per la prima volta appare il tema dell’«eterno ritorno», ripreso in Così parlò Zarathustra (1883-1885): l’universo è mosso da un movimento ciclico, in cui ogni momento ha un valore intrinseco e non finalizzato a uno scopo ultimo. Poiché la durata del mondo è illimitata nel tempo, necessariamente tutte le combinazioni possibili degli elementi tornano a ripetersi. L’uomo che comprende e vuole questa ripetizione aderisce liberamente alla necessità del divenire cosmico. Poiché nell’universo non vi è nulla a cui subordinare la vita, l’uomo deve sviluppare le sue infinite potenzialità, ricercando nuove virtù. L’individuo deve considerarsi solo come un momento transitorio verso il Superuomo. Quest’ultimo sarà l’uomo del grande disprezzo verso i valori tradizionali — quali verità, giustizia, compassione, ideologia — forgiati da un sapere mistificatorio e intriso di pregiudizi religiosi e morali. In questa prospettiva si colloca la volontà di potenza, concetto introdotto in Al di là del bene e del male (1886) e in Genealogia della morale (1887). Essa è la tendenza all’autoaffermazione dominatrice, istinto fondamentale ad affrancarsi dalla libertà per il nulla e libera accettazione della necessità dell’essere.
Da tali convinzioni filosofiche si evince il pensiero politico di (—). Poiché nel grande disprezzo dei valori tradizionali egli individua l’essenza della vita, (—) si colloca in una posizione di assoluto rifiuto dello Stato, che è considerato un crudele strumento di costrizione, posto a garanzia della società. L’uomo, infatti, inadatto alla vita, cerca conferme attraverso verità illusorie e una fitta rete di gravosi vincoli. Nell’anarchia è, invece, individuata la fase necessariamente precedente al superamento dell’uomo. La democrazia e l’elogio della libertà appaiono, al contrario, strumenti di asservimento del popolo e di creazione di tiranni.
Filosofo tedesco. Il suo pensiero, non privo di oggettive ambiguità e complessità, è stato variamente interpretato, visto talora con accenti autoritari, talaltra rimarcandone gli aspetti libertari. In quanto esaltazione della volontà di potenza e del superuomo, la sua filosofia venne utilizzata, ad esempio, per giustificare i regimi fascista e nazista (sebbene il filosofo tedesco rifiutasse i miti della nazione e della razza).
Studiò filologia classica nelle università di Bonn e di Lipsia. Nel 1863 scoprì con grande entusiasmo la filosofia di Schopenauer. Nel 1868 conobbe Richard Wagner. Dal 1869 al 1878 insegnò filologia a Basilea. Nel 1889 fu colpito una malattia mentale, che lo accompagnò fino alla morte.
In La nascita della tragedia (1872), (—) affrontò la tematica dell’arte, intesa come esaltazione della vitalità e come superamento del male insito nella realtà. Secondo (—) l’uomo greco era riuscito a superare la difficoltà e l’assurdità dell’esistenza grazie alla virtù trasfiguratrice dell’arte. Quest’ultima è la risultante della tensione fra il momento «apollineo» e quello «dionisiaco», ossia fra la contemplazione appagante e l’impeto orgiastico della vitalità. La tragedia del vivere, tuttavia, è nel costante rapporto tra i due momenti, tra il limite e l’illimitato.
Nell’opera Umano, troppo umano (1878), dedicata a Voltaire, (—) affermò che tutto ciò che è, è divenuto: il bene dal male, la verità dalla menzogna, la giustizia dai rapporti di forza.
Nel 1882 scrisse La gaia scienza, in cui per la prima volta appare il tema dell’«eterno ritorno», ripreso in Così parlò Zarathustra (1883-1885): l’universo è mosso da un movimento ciclico, in cui ogni momento ha un valore intrinseco e non finalizzato a uno scopo ultimo. Poiché la durata del mondo è illimitata nel tempo, necessariamente tutte le combinazioni possibili degli elementi tornano a ripetersi. L’uomo che comprende e vuole questa ripetizione aderisce liberamente alla necessità del divenire cosmico. Poiché nell’universo non vi è nulla a cui subordinare la vita, l’uomo deve sviluppare le sue infinite potenzialità, ricercando nuove virtù. L’individuo deve considerarsi solo come un momento transitorio verso il Superuomo. Quest’ultimo sarà l’uomo del grande disprezzo verso i valori tradizionali — quali verità, giustizia, compassione, ideologia — forgiati da un sapere mistificatorio e intriso di pregiudizi religiosi e morali. In questa prospettiva si colloca la volontà di potenza, concetto introdotto in Al di là del bene e del male (1886) e in Genealogia della morale (1887). Essa è la tendenza all’autoaffermazione dominatrice, istinto fondamentale ad affrancarsi dalla libertà per il nulla e libera accettazione della necessità dell’essere.
Da tali convinzioni filosofiche si evince il pensiero politico di (—). Poiché nel grande disprezzo dei valori tradizionali egli individua l’essenza della vita, (—) si colloca in una posizione di assoluto rifiuto dello Stato, che è considerato un crudele strumento di costrizione, posto a garanzia della società. L’uomo, infatti, inadatto alla vita, cerca conferme attraverso verità illusorie e una fitta rete di gravosi vincoli. Nell’anarchia è, invece, individuata la fase necessariamente precedente al superamento dell’uomo. La democrazia e l’elogio della libertà appaiono, al contrario, strumenti di asservimento del popolo e di creazione di tiranni.