Logica giuridica
Logica giuridica
È la logica applicata ai discorsi giuridici. La logica che, più in generale, si applica al discorso normativo (ossia, non solo giuridico ma anche etico) è la logica deontica.
Si discute circa l’esistenza di una specifica (—), diversa dalla logica ordinaria e circa la natura e il contenuto di essa. Il problema dell’applicabilità di una logica ai discorsi normativi è determinato dalla opinione prevalente secondo cui la logica ordinaria (o aletica) ha ad oggetto esclusivamente enunciati indicativi, ossia che possono essere veri o falsi mentre le norme si compongono di enunciati che non possono essere né veri, né falsi.
Dell’applicabilità della logica al discorso deontico (normativo e, quindi, anche giuridico) si occupa la logica deontica che annovera tra i maggiori esponenti il filosofo finlandese G.H. von Wright (1916).
In particolare, la logica delle norme si interessa della:
— possibilità di fare discendere in modo inoppugnabile da premesse normative una conclusione a sua volta normativa;
— struttura degli enunciati normativi;
— possibilità di contraddizioni logiche fra proposizioni normative [vedi Antinomia].
Attualmente, comunque, la maggior parte degli studiosi di logica deontica nega l’applicabilità della logica alle norme. Tutti gli studiosi concordano, invece, nell’affermare che, quand’anche la logica fosse applicabile al diritto, essa potrebbe applicarsi solo alle proposizioni di significato indubbio. Le operazioni interpretative attuate dalla dottrina e dalla giurisprudenza, infatti, soggiacciono al controllo della logica solo per quanto attengono ai ragionamenti deduttivi (che, cioè, dal generale pervengono al particolare): questi ultimi saranno dunque ineccepibili solo se ed in quanto partono da premesse di significato certo. I ragionamenti induttivi (con cui, cioè, si risale dal particolare al generale) sono arbitrari e sfuggono a controlli: da una premessa normativa particolare, infatti, si possono ricavare per induzione infinite e diverse norme più generali, da ciascuna delle quali sarebbe sempre possibile dedurre validamente la premessa di partenza.
Infine, secondo gli esponenti della corrente di pensiero denominata teoria dell’argomentazione (o nuova retorica), sorte ad opera del logico belga C. Perelman (1912-1993), i ragionamenti giuridici non sono ragionamenti logici dimostrativi, cioè non sono idonei a trasmettere informazioni sulla realtà; per questo, non possono essere sottoposti al controllo della logica, che è la scienza del vero. I discorsi giuridici sono, secondo tale indirizzo, delle argomentazioni persuasive, da distinguere esclusivamente in forti o deboli e da sottoporre, quindi, al controllo della retorica (che è scienza del verosimile e del ragionevole).
È la logica applicata ai discorsi giuridici. La logica che, più in generale, si applica al discorso normativo (ossia, non solo giuridico ma anche etico) è la logica deontica.
Si discute circa l’esistenza di una specifica (—), diversa dalla logica ordinaria e circa la natura e il contenuto di essa. Il problema dell’applicabilità di una logica ai discorsi normativi è determinato dalla opinione prevalente secondo cui la logica ordinaria (o aletica) ha ad oggetto esclusivamente enunciati indicativi, ossia che possono essere veri o falsi mentre le norme si compongono di enunciati che non possono essere né veri, né falsi.
Dell’applicabilità della logica al discorso deontico (normativo e, quindi, anche giuridico) si occupa la logica deontica che annovera tra i maggiori esponenti il filosofo finlandese G.H. von Wright (1916).
In particolare, la logica delle norme si interessa della:
— possibilità di fare discendere in modo inoppugnabile da premesse normative una conclusione a sua volta normativa;
— struttura degli enunciati normativi;
— possibilità di contraddizioni logiche fra proposizioni normative [vedi Antinomia].
Attualmente, comunque, la maggior parte degli studiosi di logica deontica nega l’applicabilità della logica alle norme. Tutti gli studiosi concordano, invece, nell’affermare che, quand’anche la logica fosse applicabile al diritto, essa potrebbe applicarsi solo alle proposizioni di significato indubbio. Le operazioni interpretative attuate dalla dottrina e dalla giurisprudenza, infatti, soggiacciono al controllo della logica solo per quanto attengono ai ragionamenti deduttivi (che, cioè, dal generale pervengono al particolare): questi ultimi saranno dunque ineccepibili solo se ed in quanto partono da premesse di significato certo. I ragionamenti induttivi (con cui, cioè, si risale dal particolare al generale) sono arbitrari e sfuggono a controlli: da una premessa normativa particolare, infatti, si possono ricavare per induzione infinite e diverse norme più generali, da ciascuna delle quali sarebbe sempre possibile dedurre validamente la premessa di partenza.
Infine, secondo gli esponenti della corrente di pensiero denominata teoria dell’argomentazione (o nuova retorica), sorte ad opera del logico belga C. Perelman (1912-1993), i ragionamenti giuridici non sono ragionamenti logici dimostrativi, cioè non sono idonei a trasmettere informazioni sulla realtà; per questo, non possono essere sottoposti al controllo della logica, che è la scienza del vero. I discorsi giuridici sono, secondo tale indirizzo, delle argomentazioni persuasive, da distinguere esclusivamente in forti o deboli e da sottoporre, quindi, al controllo della retorica (che è scienza del verosimile e del ragionevole).