Locke, John
Locke, John (1632 - 1704)
Filosofo inglese. Scrisse i Saggi sulla legge di natura (1663-64), l’Epistola sulla tolleranza (1689), I due trattati sul governo (1690).
Ispirandosi alla concezione dei diritti naturali e dell’origine contrattualistica dello Stato [vedi Contrattualismo], giunse a un’interpretazione del tutto contraria a quella formulata da Hobbes.
Secondo (—) la natura dell’uomo non è violenta e aggressiva, anzi ciascun individuo nutre istintivamente nei confronti dei propri simili sentimenti di tolleranza e di simpatia. Nello stato di natura gli uomini hanno la possibilità di esercitare liberamente i diritti naturali di libertà, di proprietà e di autodifesa, senza danneggiarsi reciprocamente. Per questo motivo la nascita dello Stato, che ha origine da un patto spontaneo tra gli individui, non comporta che essi si spoglino di tutti i diritti fondamentali per assoggettarsi all’arbitrio del solo sovrano, bensì ha lo scopo di garantire meglio i diritti naturali. La difesa da un’offesa alla proprietà, ad esempio, viene meglio assicurata quando sussiste un potere superindividuale, di fronte al quale anche i più violenti sono costretti ad arrendersi. Il contratto fra sovrano e cittadini ha natura bilaterale, con la conseguenza che se lo Stato viola tali diritti, i sudditi hanno il diritto-dovere di resistere e di ribellarsi.
Da tutto ciò appare evidente che la dottrina di (—), magistralmente esposta nell’opera I due trattati sul governo, è una vera e propria teorizzazione dei diritti fondamentali dell’uomo e del governo costituzionale, in opposizione all’assolutismo di Hobbes. Il potere politico si giustifica e legittima solo se ed in quanto esso provveda a riconoscere e garantire il rispetto dei preesistenti diritti naturali dell’individuo. La legge non deve essere l’espressione del libero arbitrio di un sovrano ma ha come unica funzione quella di positivizzare, ossia di tradurre in precetti specifici ed inviolabili il diritto di natura.
L’interesse di (—) va verso la fondazione di un regime di convivenza il più liberale possibile, e verso un concetto di Stato che non sia distante dalle condizioni naturali e in cui i protagonisti siano i singoli individui e non un astratto potere.
«La libertà dell’uomo in società consiste nel non sottostare ad altro potere legislativo che a quello stabilito per consenso nello Stato, né al dominio di un’altra volontà e alla limitazione di altra legge che ciò che questo potere legislativo stabilirà conformemente alla fiducia riposta in lui […]. La libertà degli uomini sotto un governo consiste nell’avere una norma fissa secondo cui vivere, comune a ciascun membro di questa società, e fatta dal potere legislativo, in essa istituito» (Locke).
Particolarmente innovatrice è la tesi di (—) sul carattere naturale del diritto di proprietà, diritto proprio di tutti gli uomini indistintamente, in quanto fondato sul lavoro personale e sul legittimo possesso dei suoi frutti.
Per quanto riguarda il problema della tolleranza religiosa, particolarmente sentito durante il XVI secolo in tutta Europa, (—) ebbe modo di soffermarsi in particolare sulla questione se il magistrato civile potesse o meno costringere l’individuo, con i mezzi coercitivi a disposizione dello Stato, ad abbandonare la propria fede e ad abbracciare quella dominante. La risposta data dal filosofo liberale inglese era negativa, ad eccezione che nei confronti dei cattolici e degli atei, nei cui riguardi non era disposto alla tolleranza.
Tuttavia, l’aspetto forse più significativo dell’opera del filosofo inglese va ricercato nell’analisi degli organi di Stato. Egli afferma, ad esempio, il principio della separazione dei poteri (legislativo, esecutivo, federativo, vale a dire il «potere estero»), che il successivo liberalismo svilupperà in modo assai fecondo, e il primato del potere legislativo. Ma la comunità dei membri della società politica, delegando al potere legislativo l’autorità di prescrivere le leggi, non aliena da sé completamente il potere. Infatti, il legislativo è solo un potere fiduciario delegato in vista di determinati fini che, se non raggiunti o non tenuti nella dovuta considerazione, consentono alla comunità stessa di destituire il potere legislativo.
In definitiva, il pensiero di (—) conduce alla piena teorizzazione della concezione liberale dello Stato, in virtù della quale a quest’ultimo è affidato il compito di approntare le condizioni necessarie al libero esplicarsi dell’azione umana nella società.
Filosofo inglese. Scrisse i Saggi sulla legge di natura (1663-64), l’Epistola sulla tolleranza (1689), I due trattati sul governo (1690).
Ispirandosi alla concezione dei diritti naturali e dell’origine contrattualistica dello Stato [vedi Contrattualismo], giunse a un’interpretazione del tutto contraria a quella formulata da Hobbes.
Secondo (—) la natura dell’uomo non è violenta e aggressiva, anzi ciascun individuo nutre istintivamente nei confronti dei propri simili sentimenti di tolleranza e di simpatia. Nello stato di natura gli uomini hanno la possibilità di esercitare liberamente i diritti naturali di libertà, di proprietà e di autodifesa, senza danneggiarsi reciprocamente. Per questo motivo la nascita dello Stato, che ha origine da un patto spontaneo tra gli individui, non comporta che essi si spoglino di tutti i diritti fondamentali per assoggettarsi all’arbitrio del solo sovrano, bensì ha lo scopo di garantire meglio i diritti naturali. La difesa da un’offesa alla proprietà, ad esempio, viene meglio assicurata quando sussiste un potere superindividuale, di fronte al quale anche i più violenti sono costretti ad arrendersi. Il contratto fra sovrano e cittadini ha natura bilaterale, con la conseguenza che se lo Stato viola tali diritti, i sudditi hanno il diritto-dovere di resistere e di ribellarsi.
Da tutto ciò appare evidente che la dottrina di (—), magistralmente esposta nell’opera I due trattati sul governo, è una vera e propria teorizzazione dei diritti fondamentali dell’uomo e del governo costituzionale, in opposizione all’assolutismo di Hobbes. Il potere politico si giustifica e legittima solo se ed in quanto esso provveda a riconoscere e garantire il rispetto dei preesistenti diritti naturali dell’individuo. La legge non deve essere l’espressione del libero arbitrio di un sovrano ma ha come unica funzione quella di positivizzare, ossia di tradurre in precetti specifici ed inviolabili il diritto di natura.
L’interesse di (—) va verso la fondazione di un regime di convivenza il più liberale possibile, e verso un concetto di Stato che non sia distante dalle condizioni naturali e in cui i protagonisti siano i singoli individui e non un astratto potere.
«La libertà dell’uomo in società consiste nel non sottostare ad altro potere legislativo che a quello stabilito per consenso nello Stato, né al dominio di un’altra volontà e alla limitazione di altra legge che ciò che questo potere legislativo stabilirà conformemente alla fiducia riposta in lui […]. La libertà degli uomini sotto un governo consiste nell’avere una norma fissa secondo cui vivere, comune a ciascun membro di questa società, e fatta dal potere legislativo, in essa istituito» (Locke).
Particolarmente innovatrice è la tesi di (—) sul carattere naturale del diritto di proprietà, diritto proprio di tutti gli uomini indistintamente, in quanto fondato sul lavoro personale e sul legittimo possesso dei suoi frutti.
Per quanto riguarda il problema della tolleranza religiosa, particolarmente sentito durante il XVI secolo in tutta Europa, (—) ebbe modo di soffermarsi in particolare sulla questione se il magistrato civile potesse o meno costringere l’individuo, con i mezzi coercitivi a disposizione dello Stato, ad abbandonare la propria fede e ad abbracciare quella dominante. La risposta data dal filosofo liberale inglese era negativa, ad eccezione che nei confronti dei cattolici e degli atei, nei cui riguardi non era disposto alla tolleranza.
Tuttavia, l’aspetto forse più significativo dell’opera del filosofo inglese va ricercato nell’analisi degli organi di Stato. Egli afferma, ad esempio, il principio della separazione dei poteri (legislativo, esecutivo, federativo, vale a dire il «potere estero»), che il successivo liberalismo svilupperà in modo assai fecondo, e il primato del potere legislativo. Ma la comunità dei membri della società politica, delegando al potere legislativo l’autorità di prescrivere le leggi, non aliena da sé completamente il potere. Infatti, il legislativo è solo un potere fiduciario delegato in vista di determinati fini che, se non raggiunti o non tenuti nella dovuta considerazione, consentono alla comunità stessa di destituire il potere legislativo.
In definitiva, il pensiero di (—) conduce alla piena teorizzazione della concezione liberale dello Stato, in virtù della quale a quest’ultimo è affidato il compito di approntare le condizioni necessarie al libero esplicarsi dell’azione umana nella società.