Libertà

Libertà

Indica in generale lo stato di un soggetto che, fornito della facoltà di scegliere autonomamente i fini da perseguire e i mezzi atti a conseguirli, può autodeterminarsi, ossia agire senza costrizioni o impedimenti.
A seconda dell’ambito politico in cui si esplica la facoltà di autodeterminazione, si parla di (—) politica, giuridica, religiosa, di pensiero ecc.
Presso gli antichi Greci il concetto di (—) era strettamente connesso all’ente politico, alla città-stato (polis). Essi concepirono la (—) essenzialmente come indipendenza della città da potenze straniere, ma non mancarono di esaltare anche la libertà del cittadino dotato di pieni diritti politici. Libero (eleutheros) era in Grecia solo l’uomo (soldato o magistrato) che partecipava attivamente alla vita della città, svolgendo una pubblica funzione.
Anche nella res publica romana la (—) era esclusivamente civica. Liber era colui che, non schiavo, viveva in un regime caratterizzato dall’indipendenza politica e dal regolare funzionamento delle istituzioni e delle magistrature. In effetti, la stretta connessione tra cittadino e città era determinata dalla concezione dello Stato quale luogo assorbente ed esclusivo dell’etica, ossia di tutti i valori morali e religiosi. L’uomo antico, privo di un ambito comportamentale tutto suo, era sottoposto in tutti i momenti della vita al superiore potere della città, alla quale non poteva opporre una libertà individuale.
Fu con lo stoicismo e, successivamente con i sofisti che si delineò un mutamento, profilandosi il tema della responsabilità morale: si cominciò a riconoscere all’individuo la libertà del volere, che non traeva più la propria dignità dall’ente politico. Aristotele nell’Etica nicomachea definì libera e volontaria l’azione originata non da forze esterne, ma dal soggetto agente sulla base di una conoscenza appropriata di tutte le circostanze dell’azione medesima.
Con l’affermarsi del pensiero cristiano e la maturazione del concetto di humanitas, si attribuì al soggetto-persona una propria autonomia. Il concetto di (—) non fu più inteso in senso politico ed esteriore ma in contrapposizione alla schiavitù interiore generata dal peccato originale. La vita terrena è il regno ove il male e la violenza non saranno mai del tutto eliminabili ma l’uomo può liberarsi dalla schiavitù delle passioni e guadagnarsi il regno dei cieli grazie all’intervento della divina provvidenza. Sul piano politico, la religione cristiana imponeva l’obbedienza all’ordine costituito: poiché il regno terreno è voluto da Dio in attesa dell’imminente realizzazione del regno divino, il cristiano deve obbedienza all’autorità. Tuttavia, nel medioevo il potere dello Stato non era considerato totale ed esclusivo, ma riguardava soltanto la materia temporale. Accanto a tale potere vi era quello della Chiesa, competente in materia spirituale e garante del rapporto con Dio. Caratteristica della respublica christiana dell’età di mezzo fu dunque il dualismo tra regnum e sacerdotium: l’uomo, in quanto cittadino aveva dei doveri nei confronti dell’autorità, ma in quanto fedele apparteneva alla Chiesa, che gli assicurava la salvezza eterna. Emerse in tutta la sua rilevanza il problema di specificare la (—) nei confronti del potere politico: quest’ultimo doveva esplicarsi entro confini precisi, nel pieno rispetto della spiritualità e dei diritti dell’uomo soggetto e persona. Il più grande apporto del cristianesimo fu quello di aver posto l’accento sull’individuo e sui diritti naturali [vedi Diritto naturale], intesi come attributi indefettibili della persona.
Con il declino della respublica christiana e la nascita dello Stato moderno, l’individuo si pose quale protagonista della vita civile e il problema della (—) divenne soprattutto quello di definire lo Stato secondo giustizia. Il pensiero filosofico fu variamente impegnato a formulare diverse teorie di supporto ad istituzioni liberali concrete.
Hobbes
definì la (—) come «assenza da ogni impedimento al moto» e quindi come potere di agire. Locke distinse tra (—) naturale e (—) politica: « La libertà naturale dell’uomo consiste nell’essere libero da ogni potere superiore sulla terra e nel non sottostare alla volontà o all’autorità legislativa di alcuno e nel non avere per propria norma che la legge di natura. La libertà politica dell’uomo consiste nel non sottostare ad altro potere legislativo che a quello stabilito per consenso nello Stato né al dominio di altra volontà o lla limitazione di altra legge che quella che questo potere legislativo stabilirà conformemente alla fiducia riposta in lui». L’impegno di Locke e di quanti dopo di lui sostennero la linea liberale era mosso dall’esigenza di rinvenire soluzioni giuridiche costituzionali.
La (—) non veniva invocata come astratto attributo dell’individuo ma si collocava in un paradigma che intendeva essere concretamente garantistico. La rinuncia delle libertà naturali si riconnetteva alla trasformazione dei precari diritti originari in diritti civili e politici stabilmente tutelati dal diritto. La teoria della (—) politica di Locke fu riproposta da Montesquieu ne Lo spirito delle leggi (1748).
Per Kant la (—) atteneva al noumenico, ossia era estranea al mondo fenomenico, sperimentabile. Egli distinse tra (—) interna (relativa alla moralità e all’esercizio delle facoltà di adeguamento alle leggi della ragione) e (—) esterna (relativa al diritto e alla capacità di agire senza essere ostacolati dall’analoga libertà degli altri individui). Hegel identificò la (—) con l’essenza razionale della realtà e della storia.
Marx
considerò la (—) un processo di emancipazione politica, economica e sociale finalizzato ad affiancare l’uomo dalla schiavitù del bisogno e a consentire a ciascuno una concreta autorealizzazione materiale e spirituale.
Nella teoria politica contemporanea è divenuta fondamentale la distinzione, ascrivibile a Kant e riproposta da Berlin, tra libertà negativa (libertà ‘da’ qualcosa) e libertà positiva (libertà di fare o essere qualcosa). Secondo Berlin la (—) negativa riguarda la risposta al quesito su quale sia l’ambito entro cui un soggetto può agire o essere qualcosa senza inframmettenze altrui. La (—) positiva è relativa alla domanda su chi governa, ossia su chi o cosa determina che un soggetto agisca agisca in un modo anziché in un altro.
Nella teoria generale del diritto il concetto di (—) viene spesso privato di significati etico-politici e identificato o avvicinato al permesso, ossia all’assenza di dovere. Più precisamente, si ritiene che possa parlarsi di (—) in ambito giuridico solo quando il permesso attiene ad una attività minuziosamente disciplinata e tutelata da norme giuridiche che inevitabilmente limitino il permesso stesso.