Kelsen, Hans

Kelsen, Hans (1881 - 1973)

Giurista austriaco. Nel 1906 sostenne alla facoltà di diritto di Vienna una teoria dello Stato in Dante. Dopo la tesi di abilitazione, che costituì la prima versione della sua dottrina, divenne docente alla facoltà di diritto (1918). Esponente del partito socialdemocratico, redasse il progetto della costituzione austriaca (1920). In essa fu, tra l’altro, istituita per la prima volta una Corte costituzionale.
Fu membro della Corte stessa fino al 1929, anno in cui lasciò l’Austria. Insegnò quindi a Colonia, Ginevra, Praga e dal 1938 negli Stati Uniti.
Le sue opere principali furono Il problema della sovranità (1920); La dottrina pura del diritto (1934; una seconda edizione apparve nel 1960) e la Teoria generale del diritto e dello Stato (1945).
Ne Il problema della sovranità egli nega che lo Stato sia un ente personale. Lo Stato per (—) non esiste: è l’ordinamento giuridico. Il primato spetta all’ordinamento internazionale, costituito da norme di grado superiore, da cui le norme che compongono gli ordinamenti interni particolari traggono l’autorizzazione.
Ne La dottrina pura del diritto (—), in polemica col giusnaturalismo, che presupponeva un ordine naturale assunto come valore assoluto in base al quale giustificare o demolire il diritto positivo, pone a fondamento della sua ricerca il diritto positivo come esso è, indipendentemente dal suo valore morale. Il fondamento della «dottrina pura» è dato dall’antitesi tra «essere» (sein) e «dover essere» (sollen).
Alla prima categoria appartengono le scienze naturali, alla seconda quelle normative.
L’uso del «dover essere» giuridico esprime il fatto che la relazione tra i fenomeni giuridici è dettata da una norma, ossia da una volontà manifestata dall’autorità giuridica, a differenza della legge naturale, che è avulsa da qualsiasi volontà.
Il sistema giuridico di un determinato Paese è, per il giurista austriaco, l’insieme delle proposizioni imperative o norme tra loro collegate. Tale rappresentazione del diritto è una «dottrina pura», proprio perché astrae da tutto ciò che non è la norma, quindi prescinde da ogni riferimento morale, economico, sociale. La validità di una norma non può derivare da un fatto naturale, ma solo da una norma superiore, fino a giungere alla Costituzione. Al di sopra di quest’ultima vi è una norma «fondamentale» (Grundnorm), il cui contenuto è irrilevante, poiché la sua funzione è quella di istituire l’autorità competente a emanare e applicare il diritto.
L’immagine risultante è quella di una struttura giuridica «a gradini», percorribili in senso ascendente o discendente.
La visione dell’ordinamento giuridico quale sistema autosufficiente privo di assunti ideologici, perfettamente ricostruibile dall’interprete senza lacune, fa di (—) un esponente estremo del formalismo giuridico di matrice ottocentesca. Tale atteggiamento ha profondamente influenzato la cultura giuridica contemporanea.