Giustizia
Giustizia
Qualità che fa dare a ciascuno il suo.
Nel pensiero dei filosofi greci l’idea della (—) si collega in maniera indissolubile al concetto di necessità (fisica e morale), espressione di un’armonia universale superiore alle mutevoli leggi umane. La (—) è la conformità all’ordine dell’universo, nel quale ogni cosa riceve una propria collocazione ed assolve a compiti determinati. La legge (nómos) che disciplina la condotta degli individui nella pólis non è altro che l’espressione dell’ordine naturale, che impone a ciascuno un proprio ruolo e precise funzioni.
Con i sofisti viene meno il valore oggettivo della (—): essa è concepita come lo strumento per assicurare l’utile al più forte e garantire la sopravvivenza di ogni singola comunità.
Con Platone il concetto di (—) riacquista la valenza oggettiva di ordine ed equilibrio. Con Aristotele si profila la distinzione tra (—) commutativa (che impone di restituire a ciascuno ciò che ha precedentemente dato) e (—) distributiva (che impone di attribuire a ciascuno ciò che gli è dovuto, in proporzione ai propri meriti).
Nel pensiero dei giuristi romani la (—) si lega al concetto di auctoritas, ed assume il significato di conformità all’ordine pacificatore dell’autorità. Essa appare fondamentalmente una creazione umana e si sostanzia nell’attribuire a ciascun individuo ciò che già gli compete secondo ragione.
Nella prospettiva ebraico-cristiana essa è connessa all’idea della Provvidenza divina: essa si sostanzia nella conformità piena ed incondizionata alla volontà di Dio.
Alla fine del medioevo e con l’avvento degli Stati moderni si delinea un sostanziale dualismo tra i concetti di (—) come legalità e (—) come valore spirituale e interiore. Con il consolidarsi dello Stato moderno si affermano, dunque, tre diverse ed inconciliabili prospettive della (—): quella politico-legale (strettamente connessa al concetto di Stato moderno e all’idea della superiore volontà del sovrano); quella spirituale (relativa alla coscienza del singolo individuo ed alla sua razionalità); quella teologica (che si esprime, sempre nell’ambito della coscienza individuale, nei vincoli imposti e negli insegnamenti impartiti dalle chiese).
Per il giusnaturalista Hobbes la (—) si definisce solo con la nascita dello Stato. Prima della costituzione della società civile non c’è né giustizia né ingiustizia ma solo un diritto illimitato di tutti su tutto, il quale si traduce sostanzialmente in arbitrio. La nascita dello Stato, invece, e la presenza di un sovrano che emana le leggi e regola la convivenza civile rendono possibile la distinzione tra ciò che è giusto e ciò che è ingiusto.
Grozio, nel trattato di diritto delle genti De jure belli ac pacis (1625), distingue tra (—) attributiva e (—) ricompensativa. Tale distinzione corrisponde alla distinzione tra diritto imperfetto e diritto perfetto. La (—) attributiva, concernente il diritto imperfetto, consiste nel concedere ad un soggetto ciò che esso non ha il diritto di rivendicare. La (—) ricompensativa, concernente il diritto perfetto, consiste nell’attribuire ad un soggetto la giusta ricompensa, ossia ciò che egli ha il diritto di pretendere.
Qualità che fa dare a ciascuno il suo.
Nel pensiero dei filosofi greci l’idea della (—) si collega in maniera indissolubile al concetto di necessità (fisica e morale), espressione di un’armonia universale superiore alle mutevoli leggi umane. La (—) è la conformità all’ordine dell’universo, nel quale ogni cosa riceve una propria collocazione ed assolve a compiti determinati. La legge (nómos) che disciplina la condotta degli individui nella pólis non è altro che l’espressione dell’ordine naturale, che impone a ciascuno un proprio ruolo e precise funzioni.
Con i sofisti viene meno il valore oggettivo della (—): essa è concepita come lo strumento per assicurare l’utile al più forte e garantire la sopravvivenza di ogni singola comunità.
Con Platone il concetto di (—) riacquista la valenza oggettiva di ordine ed equilibrio. Con Aristotele si profila la distinzione tra (—) commutativa (che impone di restituire a ciascuno ciò che ha precedentemente dato) e (—) distributiva (che impone di attribuire a ciascuno ciò che gli è dovuto, in proporzione ai propri meriti).
Nel pensiero dei giuristi romani la (—) si lega al concetto di auctoritas, ed assume il significato di conformità all’ordine pacificatore dell’autorità. Essa appare fondamentalmente una creazione umana e si sostanzia nell’attribuire a ciascun individuo ciò che già gli compete secondo ragione.
Nella prospettiva ebraico-cristiana essa è connessa all’idea della Provvidenza divina: essa si sostanzia nella conformità piena ed incondizionata alla volontà di Dio.
Alla fine del medioevo e con l’avvento degli Stati moderni si delinea un sostanziale dualismo tra i concetti di (—) come legalità e (—) come valore spirituale e interiore. Con il consolidarsi dello Stato moderno si affermano, dunque, tre diverse ed inconciliabili prospettive della (—): quella politico-legale (strettamente connessa al concetto di Stato moderno e all’idea della superiore volontà del sovrano); quella spirituale (relativa alla coscienza del singolo individuo ed alla sua razionalità); quella teologica (che si esprime, sempre nell’ambito della coscienza individuale, nei vincoli imposti e negli insegnamenti impartiti dalle chiese).
Per il giusnaturalista Hobbes la (—) si definisce solo con la nascita dello Stato. Prima della costituzione della società civile non c’è né giustizia né ingiustizia ma solo un diritto illimitato di tutti su tutto, il quale si traduce sostanzialmente in arbitrio. La nascita dello Stato, invece, e la presenza di un sovrano che emana le leggi e regola la convivenza civile rendono possibile la distinzione tra ciò che è giusto e ciò che è ingiusto.
Grozio, nel trattato di diritto delle genti De jure belli ac pacis (1625), distingue tra (—) attributiva e (—) ricompensativa. Tale distinzione corrisponde alla distinzione tra diritto imperfetto e diritto perfetto. La (—) attributiva, concernente il diritto imperfetto, consiste nel concedere ad un soggetto ciò che esso non ha il diritto di rivendicare. La (—) ricompensativa, concernente il diritto perfetto, consiste nell’attribuire ad un soggetto la giusta ricompensa, ossia ciò che egli ha il diritto di pretendere.