Funzione del diritto
Funzione del diritto
È l’insieme dei compiti e dei fini perseguiti dal diritto. L’individuazione della (—) costituisce da sempre un problema centrale della filosofia del diritto e della teoria generale del diritto.
Tradizionalmente sono attribuite al diritto due funzioni prevalenti: la risoluzione delle controversie e la punizione (o il premio) di certi comportamenti. Tuttavia, è stato osservato che queste non sono funzioni specifiche ed esclusive del diritto: infatti, per quanto riguarda la decisione di una controversia, si osserva che la decisione del giudice, quantunque conforme alla legge, pur sempre potrebbe lasciare sopravvivere il malcontento tra le parti, vanificando l’intervento del diritto e rendendo quindi necessario, ai fini della composizione definitiva del conflitto e della pacificazione degli animi, ricorrere a fattori ulteriori, quali ad esempio l’amicizia o la solidarietà interpersonale (che pur sempre si preoccupano di risolvere le controversie). Anche l’attività punitiva, si osserva, non è prerogativa del diritto, in quanto anche la morale [vedi Etica] e l’economia ad esempio tendono a sanzionare in diversi modi (con l’emarginazione, l’esclusione, il boicottaggio) il comportamento di coloro che si discostano dai propri precetti.
L’opinione prevalente della scienza giuridica [vedi Scienza del diritto] contemporanea, che accomuna i giusformalisti [vedi Formalismo giuridico], i giusrealisti [vedi Realismo giuridico] e in generale tutti coloro che riducono il diritto a ordinamento giuridico, considera il diritto privo di un contenuto proprio e dotato soltanto di una forma esterna e attribuisce ad esso esclusivamente una funzione formale, ossia quella di essere una mera tecnica di organizzazione sociale. In quanto tecnica, dunque, il diritto può assolvere qualunque funzione assegnatagli dalla politica, dalla morale e dall’economia. La sua essenza consiste esclusivamente nella forma esterna dell’imperativo sanzionatorio, ed è attraverso tale imperativo che un precetto della morale, un’esigenza della politica o un canone dell’economia acquistano anche una rilevanza giuridica (ad esempio, la solidarietà sociale è un’esigenza della politica ma diviene anche giuridicamente rilevante quando una norma disponga una sanzione per chi non la rispetti).
Secondo altra opinione, invece, la vera ed immanente funzione del diritto non è affatto formale, bensì specifica e consiste nell’attuazione della giustizia. Tale opinione si fonda su una lunga tradizione della filosofia del diritto, che si ritrova in Platone, in Tommaso d’Aquino e Leibniz e secondo la quale la giustizia è l’essenza del diritto, poiché rivendicare un diritto significa rivendicare il giusto. In tale ottica, la stessa risoluzione delle controversie o la punizione di determinati comportamenti appaiono non funzioni autonome del diritto ma mere conseguenze della sua immanente funzione di giustizia; il modo in cui il diritto risolve una controversia o punisce un illecito risulta quindi diverso da quello attuato dalla politica, dalla morale o dall’economia non solo dal punto di vista formale (ossia del rito e dei gesti) ma soprattutto dal punto di vista sostanziale: se ad esempio nella morale una trasgressione potrà essere superata con il perdono, il diritto invece non potrà fare a meno di individuare con esattezza la violazione della norma e stabilire la misura della ragione e del torto.
Infine, negli ultimi anni e soprattutto nelle società industriali avanzate, è stata sottolineata una funzione promozionale del diritto. In base a tale concezione, il diritto consiste in una tecnica di controllo sociale, attuato incentivando (con premi, ricompense, utilità) i comportamenti ritenuti vantaggiosi e auspicabili per la società e, al contrario, inibendo (con oneri e vincoli) quelli incompatibili con gli orientamenti adottati dal sistema sociogiuridico. La funzione promozionale implica che il diritto svolga un’attività di persuasione e di educazione nei confronti dei consociati, affinché questi considerino l’attività normativa del legislatore come opportuna, ossia come rispondente ai propri interessi e non come meramente imposta.
È l’insieme dei compiti e dei fini perseguiti dal diritto. L’individuazione della (—) costituisce da sempre un problema centrale della filosofia del diritto e della teoria generale del diritto.
Tradizionalmente sono attribuite al diritto due funzioni prevalenti: la risoluzione delle controversie e la punizione (o il premio) di certi comportamenti. Tuttavia, è stato osservato che queste non sono funzioni specifiche ed esclusive del diritto: infatti, per quanto riguarda la decisione di una controversia, si osserva che la decisione del giudice, quantunque conforme alla legge, pur sempre potrebbe lasciare sopravvivere il malcontento tra le parti, vanificando l’intervento del diritto e rendendo quindi necessario, ai fini della composizione definitiva del conflitto e della pacificazione degli animi, ricorrere a fattori ulteriori, quali ad esempio l’amicizia o la solidarietà interpersonale (che pur sempre si preoccupano di risolvere le controversie). Anche l’attività punitiva, si osserva, non è prerogativa del diritto, in quanto anche la morale [vedi Etica] e l’economia ad esempio tendono a sanzionare in diversi modi (con l’emarginazione, l’esclusione, il boicottaggio) il comportamento di coloro che si discostano dai propri precetti.
L’opinione prevalente della scienza giuridica [vedi Scienza del diritto] contemporanea, che accomuna i giusformalisti [vedi Formalismo giuridico], i giusrealisti [vedi Realismo giuridico] e in generale tutti coloro che riducono il diritto a ordinamento giuridico, considera il diritto privo di un contenuto proprio e dotato soltanto di una forma esterna e attribuisce ad esso esclusivamente una funzione formale, ossia quella di essere una mera tecnica di organizzazione sociale. In quanto tecnica, dunque, il diritto può assolvere qualunque funzione assegnatagli dalla politica, dalla morale e dall’economia. La sua essenza consiste esclusivamente nella forma esterna dell’imperativo sanzionatorio, ed è attraverso tale imperativo che un precetto della morale, un’esigenza della politica o un canone dell’economia acquistano anche una rilevanza giuridica (ad esempio, la solidarietà sociale è un’esigenza della politica ma diviene anche giuridicamente rilevante quando una norma disponga una sanzione per chi non la rispetti).
Secondo altra opinione, invece, la vera ed immanente funzione del diritto non è affatto formale, bensì specifica e consiste nell’attuazione della giustizia. Tale opinione si fonda su una lunga tradizione della filosofia del diritto, che si ritrova in Platone, in Tommaso d’Aquino e Leibniz e secondo la quale la giustizia è l’essenza del diritto, poiché rivendicare un diritto significa rivendicare il giusto. In tale ottica, la stessa risoluzione delle controversie o la punizione di determinati comportamenti appaiono non funzioni autonome del diritto ma mere conseguenze della sua immanente funzione di giustizia; il modo in cui il diritto risolve una controversia o punisce un illecito risulta quindi diverso da quello attuato dalla politica, dalla morale o dall’economia non solo dal punto di vista formale (ossia del rito e dei gesti) ma soprattutto dal punto di vista sostanziale: se ad esempio nella morale una trasgressione potrà essere superata con il perdono, il diritto invece non potrà fare a meno di individuare con esattezza la violazione della norma e stabilire la misura della ragione e del torto.
Infine, negli ultimi anni e soprattutto nelle società industriali avanzate, è stata sottolineata una funzione promozionale del diritto. In base a tale concezione, il diritto consiste in una tecnica di controllo sociale, attuato incentivando (con premi, ricompense, utilità) i comportamenti ritenuti vantaggiosi e auspicabili per la società e, al contrario, inibendo (con oneri e vincoli) quelli incompatibili con gli orientamenti adottati dal sistema sociogiuridico. La funzione promozionale implica che il diritto svolga un’attività di persuasione e di educazione nei confronti dei consociati, affinché questi considerino l’attività normativa del legislatore come opportuna, ossia come rispondente ai propri interessi e non come meramente imposta.