Formalismo giuridico
Formalismo giuridico
Secondo la definizione più comune, il (—) è il punto di vista di chi privilegia la «forma» rispetto alla «sostanza» delle questioni giuridiche.
In particolare, i critici del diritto accusano i giuristi moderni di formalismo pratico. Per formalismo pratico si intende la posizione di quei giuristi (e, in generale, di tutti coloro che si servono di ordinamenti normativi per standardizzare i comportamenti, in politica, morale, religione ecc.) che individuano nelle norme la ragione pratica giustificatrice delle condotte assunte come giuridiche (e quindi da osservare). In altre parole, il formalismo pratico non è altro che una tecnica di scelta, l’atteggiamento mentale di chi utilizza il diritto come lo strumento per scegliere quale azione compiere. Le critiche al formalismo in tal senso si fondano sulla considerazione che le norme giuridiche, in quanto disciplinano un caso e descrivono una condotta in modo solo generale e astratto, trascurando gli aspetti particolari e «sostanziali» (il merito) che la fattispecie inevitabilmente assume nel singolo caso concreto, non consentono decisioni eque [vedi Equità] e non possono quindi essere accolte come ragioni di scelta delle azioni e delle decisioni da adottare.
Per i giusrealisti [vedi Realismo giuridico], in particolare, le norme non possono guidare i comportamenti a causa della piena libertà di scelta di cui viene investito l’interprete nel momento dell’interpretazione e dell’applicazione della norma generale e astratta al singolo caso concreto.
Spesso il (—) è inteso anche in un senso ulteriore: come formalismo interpretativo. Questo è una teoria dell’interpretazione giuridica (implicitamente adottata soprattutto dai giuristi positivi), secondo cui è possibile l’interpretazione corretta degli enunciati normativi (di leggi, sentenze, contratti ecc.) e ad ogni singolo enunciato normativo, correttamente interpretato, corrisponde un solo significato normativo.
A volte si parla di (—) anche per indicare la concezione del diritto come forma della realtà sociale: le azioni e le situazioni sociali ricevono cioè una qualificazione giuridica da parte delle norme giuridiche, divenendo in tal modo comprensibili: si pensi per esempio alla qualificazione di «processo civile» attribuito dal diritto ad un insieme di atti e comportamenti altrimenti incomprensibili.
Secondo la definizione più comune, il (—) è il punto di vista di chi privilegia la «forma» rispetto alla «sostanza» delle questioni giuridiche.
In particolare, i critici del diritto accusano i giuristi moderni di formalismo pratico. Per formalismo pratico si intende la posizione di quei giuristi (e, in generale, di tutti coloro che si servono di ordinamenti normativi per standardizzare i comportamenti, in politica, morale, religione ecc.) che individuano nelle norme la ragione pratica giustificatrice delle condotte assunte come giuridiche (e quindi da osservare). In altre parole, il formalismo pratico non è altro che una tecnica di scelta, l’atteggiamento mentale di chi utilizza il diritto come lo strumento per scegliere quale azione compiere. Le critiche al formalismo in tal senso si fondano sulla considerazione che le norme giuridiche, in quanto disciplinano un caso e descrivono una condotta in modo solo generale e astratto, trascurando gli aspetti particolari e «sostanziali» (il merito) che la fattispecie inevitabilmente assume nel singolo caso concreto, non consentono decisioni eque [vedi Equità] e non possono quindi essere accolte come ragioni di scelta delle azioni e delle decisioni da adottare.
Per i giusrealisti [vedi Realismo giuridico], in particolare, le norme non possono guidare i comportamenti a causa della piena libertà di scelta di cui viene investito l’interprete nel momento dell’interpretazione e dell’applicazione della norma generale e astratta al singolo caso concreto.
Spesso il (—) è inteso anche in un senso ulteriore: come formalismo interpretativo. Questo è una teoria dell’interpretazione giuridica (implicitamente adottata soprattutto dai giuristi positivi), secondo cui è possibile l’interpretazione corretta degli enunciati normativi (di leggi, sentenze, contratti ecc.) e ad ogni singolo enunciato normativo, correttamente interpretato, corrisponde un solo significato normativo.
A volte si parla di (—) anche per indicare la concezione del diritto come forma della realtà sociale: le azioni e le situazioni sociali ricevono cioè una qualificazione giuridica da parte delle norme giuridiche, divenendo in tal modo comprensibili: si pensi per esempio alla qualificazione di «processo civile» attribuito dal diritto ad un insieme di atti e comportamenti altrimenti incomprensibili.