Felicità
Felicità
Condizione di benessere e appagamento psichico (piacere) che si determina per il conseguimento di valori [vedi Valore] spirituali o materiali.
La dottrina morale che ripone il bene nella (—) prende il nome di eudemonismo.
Gli antichi greci e latini distinguevano la (—) esteriore di chi ha la fortuna di godere di beni materiali dalla (—) interiore di chi ha un intimo appagamento.
Secondo Socrate (470/469-399 a.C.) la (—) consiste nel dominio razionale delle passioni e nell’esercizio della virtù.
Per Platone essa si raggiunge con la contemplazione delle «idee».
Per Aristotele la (—) coincide con una vita virtuosa, ossia condotta in conformità dei dettami della ragione.
Per i cinici e gli stoici la (—) coincide con l’imperturbabilità (atarassia), che si ottiene rifuggendo dai beni materiali e conducendo una vita virtuosa.
Per gli scettici la (—) si ottiene con la sospensione del giudizio.
La teologia medievale fece coincidere la (—) con la conoscenza della verità soprannaturale.
In età moderna il concetto di (—) assunse una dimensione sociale, in quanto l’ideale del saggio autosufficiente fu sostituito con l’esigenze della «massima felicità possibile per il maggior numero di uomini». In tale direzione J. Bentham affermerà l’inevitabile infelicità degli egocentrici.
Kant considerò impossibile l’unione di (—) e virtù nella vita terrena e rinviò la realizzazione della piena felicità (sommo bene) in un «regno della grazia» conoscibile dall’intelletto.
Nell’Ottocento, filosofi positivisti come James Mill e John Stuart Mill individuarono la (—) in forme di generosità sociale.
Condizione di benessere e appagamento psichico (piacere) che si determina per il conseguimento di valori [vedi Valore] spirituali o materiali.
La dottrina morale che ripone il bene nella (—) prende il nome di eudemonismo.
Gli antichi greci e latini distinguevano la (—) esteriore di chi ha la fortuna di godere di beni materiali dalla (—) interiore di chi ha un intimo appagamento.
Secondo Socrate (470/469-399 a.C.) la (—) consiste nel dominio razionale delle passioni e nell’esercizio della virtù.
Per Platone essa si raggiunge con la contemplazione delle «idee».
Per Aristotele la (—) coincide con una vita virtuosa, ossia condotta in conformità dei dettami della ragione.
Per i cinici e gli stoici la (—) coincide con l’imperturbabilità (atarassia), che si ottiene rifuggendo dai beni materiali e conducendo una vita virtuosa.
Per gli scettici la (—) si ottiene con la sospensione del giudizio.
La teologia medievale fece coincidere la (—) con la conoscenza della verità soprannaturale.
In età moderna il concetto di (—) assunse una dimensione sociale, in quanto l’ideale del saggio autosufficiente fu sostituito con l’esigenze della «massima felicità possibile per il maggior numero di uomini». In tale direzione J. Bentham affermerà l’inevitabile infelicità degli egocentrici.
Kant considerò impossibile l’unione di (—) e virtù nella vita terrena e rinviò la realizzazione della piena felicità (sommo bene) in un «regno della grazia» conoscibile dall’intelletto.
Nell’Ottocento, filosofi positivisti come James Mill e John Stuart Mill individuarono la (—) in forme di generosità sociale.