Fascismo
Fascismo
Il termine (—) può essere riferito a diversi campi di analisi: al movimento e regime politico concretamente realizzato in Italia nel XX secolo, alla categoria di regimi «fascisti» che hanno caratterizzato l’Europa e altre parti del mondo durante lo stesso periodo oppure in riferimento alle caratteristiche politico-ideologiche genericamente denominate «fasciste».
Il (—) fu un movimento politico italiano fondato da Benito Mussolini il 23 marzo 1919, con la creazione dei «fasci di combattimento», avvenuta in una sala di un palazzo di Piazza S. Sepolcro a Milano.
Divenuto Presidente del Consiglio nell’ottobre del 1922, dopo l’episodio della «marcia su Roma», Mussolini instaurò nel giro di qualche anno un regime autoritario. Tra le modifiche apportate all’ordinamento italiano dal regime si possono ricordare: l’abolizione della sfiducia parlamentare; lo scioglimento dei partiti; l’attribuzione al capo del governo del potere di controllare l’ordine del giorno delle assemblee parlamentari; l’istituzione dell’ordinamento corporativo dello Stato; l’abolizione dei sindacati non fascisti; l’abolizione del diritto di sciopero e di serrata; l’introduzione di un sistema elettorale plebiscitario; la creazione del Gran Consiglio del Fascismo.
Se la descrizione delle trasformazioni istituzionali apportate dal (—) all’ordinamento italiano appare relativamente semplice, più complessa appare l’enucleazione della teoria politica del (—). In un primo tempo, il (—) appare legato allo sviluppo del nazionalismo e infatti molti esponenti di tale corrente aderirono al neonato movimento. Nella sua originaria formulazione, nel pensiero fascista si ritrovano forti istanze antiborghesi e antimonarchiche (si pensi d’altronde alle radici socialiste di Mussolini), che in successivo momento vengono abbandonate, pur permanendo in alcuni gruppi del cosiddetto «fascismo rivoluzionario». Ottenuto l’appoggio di alcuni gruppi economici e di diversi settori istituzionali, il (—) assunse una marcata connotazione antisocialista, quindi antidemocratica.
Una volta acquisito il potere, il (—) ricostruisce una propria identità ideologica. In questo senso appare fondamentale la figura di Giovanni Gentile, il quale vede nello Stato fascista la realizzazione dello Stato etico e la continuazione del «liberalismo» risorgimentale. Un ruolo abbastanza importante è svolto altresì dal giurista Alfredo Rocco (1875-1935) e dal filosofo Ugo Spirito (1896-1980), tra gli altri. Il primo fu portatore di una concezione organicistica dello Stato che ben si integrò nell’ideologia fascista; il secondo elaborò la teoria della «corporazione proprietaria», per cui l’economia fascista avrebbe trasformato la proprietà privata in proprietà pubblica.
Il (—) italiano si presenta dunque come un fenomeno ideologicamente complesso e contraddittorio. Ad istanze monarchiche si contrappongono istanze repubblicane, a posizioni reazionarie si contrappongono posizioni rivoluzionarie o pseudorivoluzionarie. Nel 1943, in occasione della Repubblica Sociale Italiana, emergeranno proprio quelle tendenze repubblicane e sociali che, per molti versi, sembrarono richiamare il fascismo degli esordi.
Si pensi poi al delicato problema delle teorie della razza o alle posizioni antisemitiche. Esse sono assenti nel pensiero e nella propaganda fasciste dei primi anni, si rafforzano a partire dalla guerra di Etiopia (1935) e con la sciagurata adozione delle «leggi antiebraiche» (1938), sulle quali è evidente l’influenza nefasta della Germania nazista.
In tale collegamento è possibile intravedere l’esistenza di una categoria ricostruttiva, quella del «fascismo internazionale», da taluni utilizzata per includere le diverse esperienze autoritarie del XX secolo.
Un’interpretazione del (—) si deve alla cultura marxista. Un primo approccio «classico» è legato all’analisi del (—) come reazione alla fase imperialistica dello sviluppo capitalista. Da tale punto di vista, il (—) viene visto come espressione del capitale e della borghesia, in chiave antiproletaria e controrivoluzionaria.
Un altro approccio è dovuto a quanti hanno analizzato il (—) come totalitarismo. In quest’ottica fascismo e comunismo vengono inquadrati all’interno di una categoria più vasta, costituita appunto dal totalitarismo. Pur nella loro diversità, tali teorie riconducono il totalitarismo a un’esperienza completamente diversa dalle consuete forme dittatoriali e autoritarie, caratterizzandosi piuttosto come specifica forma di dominio in un regime di democrazia di massa, nel quale viene a dissolversi il sistema classista.
Non sono mancate al contrario interpretazioni che hanno visto nel (—) un approccio possibile alla modernizzazione, prodotto dall’incontro tra le varie forze economiche, politiche e sociali, ognuna delle quali troverebbe dei vantaggi nella dislocazione dei rapporti all’interno di un regime fascista.
Il termine (—) può essere riferito a diversi campi di analisi: al movimento e regime politico concretamente realizzato in Italia nel XX secolo, alla categoria di regimi «fascisti» che hanno caratterizzato l’Europa e altre parti del mondo durante lo stesso periodo oppure in riferimento alle caratteristiche politico-ideologiche genericamente denominate «fasciste».
Il (—) fu un movimento politico italiano fondato da Benito Mussolini il 23 marzo 1919, con la creazione dei «fasci di combattimento», avvenuta in una sala di un palazzo di Piazza S. Sepolcro a Milano.
Divenuto Presidente del Consiglio nell’ottobre del 1922, dopo l’episodio della «marcia su Roma», Mussolini instaurò nel giro di qualche anno un regime autoritario. Tra le modifiche apportate all’ordinamento italiano dal regime si possono ricordare: l’abolizione della sfiducia parlamentare; lo scioglimento dei partiti; l’attribuzione al capo del governo del potere di controllare l’ordine del giorno delle assemblee parlamentari; l’istituzione dell’ordinamento corporativo dello Stato; l’abolizione dei sindacati non fascisti; l’abolizione del diritto di sciopero e di serrata; l’introduzione di un sistema elettorale plebiscitario; la creazione del Gran Consiglio del Fascismo.
Se la descrizione delle trasformazioni istituzionali apportate dal (—) all’ordinamento italiano appare relativamente semplice, più complessa appare l’enucleazione della teoria politica del (—). In un primo tempo, il (—) appare legato allo sviluppo del nazionalismo e infatti molti esponenti di tale corrente aderirono al neonato movimento. Nella sua originaria formulazione, nel pensiero fascista si ritrovano forti istanze antiborghesi e antimonarchiche (si pensi d’altronde alle radici socialiste di Mussolini), che in successivo momento vengono abbandonate, pur permanendo in alcuni gruppi del cosiddetto «fascismo rivoluzionario». Ottenuto l’appoggio di alcuni gruppi economici e di diversi settori istituzionali, il (—) assunse una marcata connotazione antisocialista, quindi antidemocratica.
Una volta acquisito il potere, il (—) ricostruisce una propria identità ideologica. In questo senso appare fondamentale la figura di Giovanni Gentile, il quale vede nello Stato fascista la realizzazione dello Stato etico e la continuazione del «liberalismo» risorgimentale. Un ruolo abbastanza importante è svolto altresì dal giurista Alfredo Rocco (1875-1935) e dal filosofo Ugo Spirito (1896-1980), tra gli altri. Il primo fu portatore di una concezione organicistica dello Stato che ben si integrò nell’ideologia fascista; il secondo elaborò la teoria della «corporazione proprietaria», per cui l’economia fascista avrebbe trasformato la proprietà privata in proprietà pubblica.
Il (—) italiano si presenta dunque come un fenomeno ideologicamente complesso e contraddittorio. Ad istanze monarchiche si contrappongono istanze repubblicane, a posizioni reazionarie si contrappongono posizioni rivoluzionarie o pseudorivoluzionarie. Nel 1943, in occasione della Repubblica Sociale Italiana, emergeranno proprio quelle tendenze repubblicane e sociali che, per molti versi, sembrarono richiamare il fascismo degli esordi.
Si pensi poi al delicato problema delle teorie della razza o alle posizioni antisemitiche. Esse sono assenti nel pensiero e nella propaganda fasciste dei primi anni, si rafforzano a partire dalla guerra di Etiopia (1935) e con la sciagurata adozione delle «leggi antiebraiche» (1938), sulle quali è evidente l’influenza nefasta della Germania nazista.
In tale collegamento è possibile intravedere l’esistenza di una categoria ricostruttiva, quella del «fascismo internazionale», da taluni utilizzata per includere le diverse esperienze autoritarie del XX secolo.
Un’interpretazione del (—) si deve alla cultura marxista. Un primo approccio «classico» è legato all’analisi del (—) come reazione alla fase imperialistica dello sviluppo capitalista. Da tale punto di vista, il (—) viene visto come espressione del capitale e della borghesia, in chiave antiproletaria e controrivoluzionaria.
Un altro approccio è dovuto a quanti hanno analizzato il (—) come totalitarismo. In quest’ottica fascismo e comunismo vengono inquadrati all’interno di una categoria più vasta, costituita appunto dal totalitarismo. Pur nella loro diversità, tali teorie riconducono il totalitarismo a un’esperienza completamente diversa dalle consuete forme dittatoriali e autoritarie, caratterizzandosi piuttosto come specifica forma di dominio in un regime di democrazia di massa, nel quale viene a dissolversi il sistema classista.
Non sono mancate al contrario interpretazioni che hanno visto nel (—) un approccio possibile alla modernizzazione, prodotto dall’incontro tra le varie forze economiche, politiche e sociali, ognuna delle quali troverebbe dei vantaggi nella dislocazione dei rapporti all’interno di un regime fascista.