Diritto di resistenza

Diritto di resistenza

Fondamentale diritto naturale degli individui, in base al quale questi ultimi possono opporsi all’attività dello Stato o alle prescrizioni del diritto positivo che minaccino i diritti fondamentali dell’uomo. Le condizioni e le modalità attraverso cui può esercitarsi il (—) variano a seconda delle teorie.
Una prima teorizzazione del (—) fu fatta dalla dottrina cristiana, la quale affermava che in caso di conflitto tra comandi del potere temporale e comandi di natura divina erano questi ultimi a prevalere.
Nel medioevo il (—) trovò il suo fondamento nella lex superioris (insieme delle tradizioni e dei principi elaborati dalla dottrina cristiana), cui anche il monarca doveva obbedire.
Nel sec. XVI il (—) ebbe ampia diffusione con le guerre di religione. I teorici protestanti legittimarono la ribellione dei sudditi al dominio del tiranno ed i fautori della teoria del diritto naturale affermarono che ogni infrazione di quest’ultimo da parte del sovrano avrebbe rappresentato un vero e proprio illecito costituzionale, tale da giustificare la resistenza dei sudditi.
John Locke
nella sua opera fondamentale, che costituisce un classico del pensiero democratico e liberale, intitolata Due trattati sul governo (1790) giustifica la resistenza a un governo e a un diritto che, violando i diritti naturali, violino il patto sociale su cui si fonda il dovere di obbedienza dei sudditi.
Il (—) venne in seguito positivizzato nelle costituzioni degli Stati Uniti del Nord America e nelle prime costituzioni francesi. Non è previsto, invece, nella costituzione degli Stati Uniti ed in quella italiana. Con riferimento a quest’ultima va tuttavia osservato che l’art. 2 tutela i «diritti inviolabili» dell’uomo anche nei confronti degli atti posti in essere dallo Stato, sancendone l’incostituzionalità (se si tratta di atti legislativi) e l’illegittimità (se si tratta di atti amministrativi).