Democrazia
Democrazia (gr. demos, popolo e krátos, dominio)
Concetto politico tra i più antichi e ricco di significati diversi, sovrappostisi nel corso di lunghi secoli.
Per Aristotele la (—) rappresenta la forma degenerata del governo popolare (ossia degli uomini liberi e adulti, forniti di cittadinanza) e si contrappone alla monarchia (il governo di uno solo) e all’aristocrazia (il governo di pochi). Anche per Platone il concetto aveva una valenza negativa ed indicava il governo dei poveri che, vinta la guerra civile coi ricchi, si spartivano con questi le cariche pubbliche, dando vita ad un regime caratterizzato da eccesso di libertà.
Con Polibio (II sec. a. C.) il termine assunse già una valenza positiva, e in contrapposizione a monarchia, divenne sinonimo di libertà.
Le realizzazioni concrete della (—) greca ebbero luogo nella pólis, ossia nella città-stato, grazie all’attività dell’assemblea dei cittadini, conoscendo una particolare fortuna ad Atene e poi una notevole diffusione in altre città greche e della Magna Grecia. Il prevalere delle città oligarchiche (Sparta in testa) inferse un colpo alla diffusione della (—) greca.
Nel linguaggio politico dell’antica Roma il termine (—) è assente ma la (—) non fu estranea alla storia e al diritto romani, soprattutto in età repubblicana. In modo particolare l’uguaglianza giuridica tra patrizi e plebei, insieme ad una serie di diritti, furono riconosciuti dalla Legge delle XII Tavole (451 a.C.).
Durante il medioevo e fino al secolo XVIII (—) veniva usata nelle dissertazioni dotte per indicare meramente una forma antica di costituzione. Si sostenne il principio della derivazione popolare del potere, talvolta in chiave filoimperiale. Marsilio da Padova nel Defensor pacis (1324) sostenne che il potere supremo di fare le leggi spettava al popolo (o alla sua parte migliore). Al suo pensiero non era estranea l’esperienza dei comuni italiani. Machiavelli distinse due forme di governo: il principato e la repubblica. Quest’ultima presenta una caratteristica che sarà tipica della teoria democratica moderna: la suddivisione del potere tra più organi.
Nel Settecento democratico venne inteso il regime politico repubblicano, contrapposto a quello monarchico. Il concetto di (—) divenne, durante l’esperienza politica dei giacobini, sinonimo di virtù pubblica e di naturale inclinazione all’uguaglianza.
Con l’avvento dello Stato liberale e il consolidamento delle istituzioni rappresentative il concetto di (—) viene utilizzato non più nelle teorizzazioni dotte, per riferirsi ad un’ormai inattuabile ideale di repubblica antica, ma per indicare un possibile modello di organizzazione costituzionale. È democratica quella società che riduce al minimo le disuguaglianze e concede al maggior numero possibile di cittadini la capacità di partecipare ai processi di formazione delle scelte politiche.
Nella concezione liberale della (—) tale partecipazione viene garantita dal godimento dei diritti politici e dal riconoscimento ai consociati di un complesso di libertà individuali (di manifestazione del pensiero, di associazione, di riunione). Si profila più netta la distinzione tra (—) diretta (quando l’intervento dei cittadini nelle scelte collettive si pone come espressione di volontà immediata, attraverso gli istituti del referendum, dell’iniziativa legislativa popolare e della petizione) e di (—) rappresentativa (quando la volontà dei singoli è mediata da quelli dei rappresentanti, liberamente eletti).
Nello Stato liberale sono democratiche solo le istituzioni politiche legittime, le quali sono tali solo se riconoscono e tutelano le fondamentali libertà ed attuano un ampliamento pieno del démos (ossia del complesso dei cittadini politicamente attivi) attraverso il voto alle donne e il suffragio universale. Nel corso del secolo XX e fino ai giorni nostri, la (—) non è tanto un’ideologia, quanto un complesso di regole procedurali universalmente riconosciute per costituire un governo e indirizzare le sue scelte politiche.
Tra le forme attuali di (—) ricordiamo inoltre:
— la (—) competitiva: è la forma di (—) derivante dal modello inglese (parlamentare-maggioritario), che assicura la competizione e la possibile alternanza tra due forze di governo che, rispetto ad ogni concreto problema politico, si confrontano. Uno strumento di tale (—) è quello dello Shadow Cabinet, organo istituito in seno alla forza che non governa e che segnala all’elettorato le sue soluzioni alternative rispetto ad ogni decisione di governo;
— la (—) immediata, che è una formula politica che esprime l’esigenza di affidare al corpo elettorale l’investitura diretta dell’esecutivo, attraverso dei sistemi elettorali che consentano un simile risultato;
— la (—) referendaria, intendendosi con tale espressione l’esercizio di funzioni costituenti da parte del popolo, avvalendosi dell’istituto del referendum. Un esempio di tale forma si è verificato in Italia a partire dal 1991, quando si è cominciato a fare ricorso all’istituto referendario allo scopo di portare avanti riforme altrimenti irrealizzabili.
Concetto politico tra i più antichi e ricco di significati diversi, sovrappostisi nel corso di lunghi secoli.
Per Aristotele la (—) rappresenta la forma degenerata del governo popolare (ossia degli uomini liberi e adulti, forniti di cittadinanza) e si contrappone alla monarchia (il governo di uno solo) e all’aristocrazia (il governo di pochi). Anche per Platone il concetto aveva una valenza negativa ed indicava il governo dei poveri che, vinta la guerra civile coi ricchi, si spartivano con questi le cariche pubbliche, dando vita ad un regime caratterizzato da eccesso di libertà.
Con Polibio (II sec. a. C.) il termine assunse già una valenza positiva, e in contrapposizione a monarchia, divenne sinonimo di libertà.
Le realizzazioni concrete della (—) greca ebbero luogo nella pólis, ossia nella città-stato, grazie all’attività dell’assemblea dei cittadini, conoscendo una particolare fortuna ad Atene e poi una notevole diffusione in altre città greche e della Magna Grecia. Il prevalere delle città oligarchiche (Sparta in testa) inferse un colpo alla diffusione della (—) greca.
Nel linguaggio politico dell’antica Roma il termine (—) è assente ma la (—) non fu estranea alla storia e al diritto romani, soprattutto in età repubblicana. In modo particolare l’uguaglianza giuridica tra patrizi e plebei, insieme ad una serie di diritti, furono riconosciuti dalla Legge delle XII Tavole (451 a.C.).
Durante il medioevo e fino al secolo XVIII (—) veniva usata nelle dissertazioni dotte per indicare meramente una forma antica di costituzione. Si sostenne il principio della derivazione popolare del potere, talvolta in chiave filoimperiale. Marsilio da Padova nel Defensor pacis (1324) sostenne che il potere supremo di fare le leggi spettava al popolo (o alla sua parte migliore). Al suo pensiero non era estranea l’esperienza dei comuni italiani. Machiavelli distinse due forme di governo: il principato e la repubblica. Quest’ultima presenta una caratteristica che sarà tipica della teoria democratica moderna: la suddivisione del potere tra più organi.
Nel Settecento democratico venne inteso il regime politico repubblicano, contrapposto a quello monarchico. Il concetto di (—) divenne, durante l’esperienza politica dei giacobini, sinonimo di virtù pubblica e di naturale inclinazione all’uguaglianza.
Con l’avvento dello Stato liberale e il consolidamento delle istituzioni rappresentative il concetto di (—) viene utilizzato non più nelle teorizzazioni dotte, per riferirsi ad un’ormai inattuabile ideale di repubblica antica, ma per indicare un possibile modello di organizzazione costituzionale. È democratica quella società che riduce al minimo le disuguaglianze e concede al maggior numero possibile di cittadini la capacità di partecipare ai processi di formazione delle scelte politiche.
Nella concezione liberale della (—) tale partecipazione viene garantita dal godimento dei diritti politici e dal riconoscimento ai consociati di un complesso di libertà individuali (di manifestazione del pensiero, di associazione, di riunione). Si profila più netta la distinzione tra (—) diretta (quando l’intervento dei cittadini nelle scelte collettive si pone come espressione di volontà immediata, attraverso gli istituti del referendum, dell’iniziativa legislativa popolare e della petizione) e di (—) rappresentativa (quando la volontà dei singoli è mediata da quelli dei rappresentanti, liberamente eletti).
Nello Stato liberale sono democratiche solo le istituzioni politiche legittime, le quali sono tali solo se riconoscono e tutelano le fondamentali libertà ed attuano un ampliamento pieno del démos (ossia del complesso dei cittadini politicamente attivi) attraverso il voto alle donne e il suffragio universale. Nel corso del secolo XX e fino ai giorni nostri, la (—) non è tanto un’ideologia, quanto un complesso di regole procedurali universalmente riconosciute per costituire un governo e indirizzare le sue scelte politiche.
Tra le forme attuali di (—) ricordiamo inoltre:
— la (—) competitiva: è la forma di (—) derivante dal modello inglese (parlamentare-maggioritario), che assicura la competizione e la possibile alternanza tra due forze di governo che, rispetto ad ogni concreto problema politico, si confrontano. Uno strumento di tale (—) è quello dello Shadow Cabinet, organo istituito in seno alla forza che non governa e che segnala all’elettorato le sue soluzioni alternative rispetto ad ogni decisione di governo;
— la (—) immediata, che è una formula politica che esprime l’esigenza di affidare al corpo elettorale l’investitura diretta dell’esecutivo, attraverso dei sistemi elettorali che consentano un simile risultato;
— la (—) referendaria, intendendosi con tale espressione l’esercizio di funzioni costituenti da parte del popolo, avvalendosi dell’istituto del referendum. Un esempio di tale forma si è verificato in Italia a partire dal 1991, quando si è cominciato a fare ricorso all’istituto referendario allo scopo di portare avanti riforme altrimenti irrealizzabili.