Certezza del diritto
Certezza del diritto
È un valore intrinseco del diritto. Tale valore viene soddisfatto nei casi in cui al cittadino sia riconosciuta la possibilità di conoscere preventivamente la valutazione che il diritto darà delle sue azioni e situazioni concrete e di prevedere le conseguenze giuridiche che deriveranno dalla sua condotta. Ciò è reso possibile dall’essere il diritto composto da norme generali e astratte, chiare e intellegibili, pubbliche e non retroattive ed è privo di lacune e antinomie.
La (—) è stata oggetto delle valutazioni più diverse. Le teorie giuridiche ad essa favorevoli sono prevalentemente considerate formalistiche e considerano la certezza un elemento costitutivo del concetto stesso di diritto, con la conseguenza che il diritto o è certo o non è neppure diritto.
Le teorie che valutano in senso negativo la (—) sono invece considerate antiformalistiche. Ad esempio, per H. Kelsen la (—) è un’illusione: poiché l’attività interpretativa dell’organo incaricato di dare concreta applicazione alle norme generali e astratte ha un’inevitabile carattere creativo, è impossibile per il cittadino prevedere fino in fondo le decisioni degli organi esecutivi e giudiziari.
Per l’esponente del realismo giuridico americano Jerome Frank la (—) è un valore non solo irrealizzabile ma addirittura non degno di essere perseguito. Anzi, Frank conclude che il diritto non è composto di norme ma di decisioni giudiziarie che, in quanto non sono applicazioni di norme preesistenti, sono radicalmente imprevedibili.
Oggi l’opinione comune è che il diritto certo per eccellenza (il diritto di fonte prevalentemente legislativa, completo, chiaro, coerente, facilmente comprensibile e razionalmente sistemato) è un tipo ideale al quale gli ordinamenti storici possono solo avvicinarsi più o meno notevolmente, senza tuttavia mai realizzarlo completamente.
Senza dubbio la necessità di un diritto certo è particolarmente forte nel campo del diritto penale, ove spesso la reazione degli organi giuridici alle condotte umane valutate come reati consiste nella privazione di beni di notevole valore (la libertà personale e talvolta la vita). Nell’ordinamento penale italiano la (—) viene tutelata dal principio nullum crimen, nulla pona, sine lege che affida solo ad una legge (non retroattiva, per giunta) la previsione dei reati e delle pene.
Quando, invece, un diritto legislativo tende a produrre norme vaghe, ambigue, retroattive e incomprensibili sia per i destinatari sia per i giudici chiamati ad osservarlo si distacca definitivamente dall’ideale della certezza.
Questa situazione di degenerazione del diritto legislativo, caratteristica di numerosi ordinamenti dell’Europa continentale contemporanea, viene definita col termine di decodificazione.
Infine, la (—) non va confusa con la giustizia sostanziale del diritto; infatti, un diritto può essere certo ma ingiusto nel contenuto oppure giusto e ineccepibile nei contenuti ma incertamente applicato.
È un valore intrinseco del diritto. Tale valore viene soddisfatto nei casi in cui al cittadino sia riconosciuta la possibilità di conoscere preventivamente la valutazione che il diritto darà delle sue azioni e situazioni concrete e di prevedere le conseguenze giuridiche che deriveranno dalla sua condotta. Ciò è reso possibile dall’essere il diritto composto da norme generali e astratte, chiare e intellegibili, pubbliche e non retroattive ed è privo di lacune e antinomie.
La (—) è stata oggetto delle valutazioni più diverse. Le teorie giuridiche ad essa favorevoli sono prevalentemente considerate formalistiche e considerano la certezza un elemento costitutivo del concetto stesso di diritto, con la conseguenza che il diritto o è certo o non è neppure diritto.
Le teorie che valutano in senso negativo la (—) sono invece considerate antiformalistiche. Ad esempio, per H. Kelsen la (—) è un’illusione: poiché l’attività interpretativa dell’organo incaricato di dare concreta applicazione alle norme generali e astratte ha un’inevitabile carattere creativo, è impossibile per il cittadino prevedere fino in fondo le decisioni degli organi esecutivi e giudiziari.
Per l’esponente del realismo giuridico americano Jerome Frank la (—) è un valore non solo irrealizzabile ma addirittura non degno di essere perseguito. Anzi, Frank conclude che il diritto non è composto di norme ma di decisioni giudiziarie che, in quanto non sono applicazioni di norme preesistenti, sono radicalmente imprevedibili.
Oggi l’opinione comune è che il diritto certo per eccellenza (il diritto di fonte prevalentemente legislativa, completo, chiaro, coerente, facilmente comprensibile e razionalmente sistemato) è un tipo ideale al quale gli ordinamenti storici possono solo avvicinarsi più o meno notevolmente, senza tuttavia mai realizzarlo completamente.
Senza dubbio la necessità di un diritto certo è particolarmente forte nel campo del diritto penale, ove spesso la reazione degli organi giuridici alle condotte umane valutate come reati consiste nella privazione di beni di notevole valore (la libertà personale e talvolta la vita). Nell’ordinamento penale italiano la (—) viene tutelata dal principio nullum crimen, nulla pona, sine lege che affida solo ad una legge (non retroattiva, per giunta) la previsione dei reati e delle pene.
Quando, invece, un diritto legislativo tende a produrre norme vaghe, ambigue, retroattive e incomprensibili sia per i destinatari sia per i giudici chiamati ad osservarlo si distacca definitivamente dall’ideale della certezza.
Questa situazione di degenerazione del diritto legislativo, caratteristica di numerosi ordinamenti dell’Europa continentale contemporanea, viene definita col termine di decodificazione.
Infine, la (—) non va confusa con la giustizia sostanziale del diritto; infatti, un diritto può essere certo ma ingiusto nel contenuto oppure giusto e ineccepibile nei contenuti ma incertamente applicato.