Autorità
Autorità (lat. augere, conferire autenticità)
In teoria generale del diritto è il complesso degli organismi a cui una norma giuridica attribuisce il compito di produrre diritto.
Politicamente, il concetto di (—) è il fondamento di legittimità del potere in generale.
Nella Roma dell’età repubblicana l’auctoritas senatus, distinta dal potere politico delle magistrature popolari, legittimava queste ultime attraverso il conferimento di un’efficacia fondata sulla tradizione.
Con la crisi della repubblica e l’ascesa di Ottaviano, l’(—) diventa una prerogativa del princeps. A partire dal III sec. d. C. il concetto di auctoritas principis diviene sinonimo del potere politico illimitato dell’imperatore.
L’elaborazione del moderno concetto di (—) si ha a partire dal XVI sec.
Lutero e la riforma protestante concepiscono l’(—) non come garanzia della fondatezza del potere ma come il potere più alto. È dotato di (—) chi esercita in concreto il potere, che è espressione del comando divino. In quanto l’(—) discende direttamente da Dio, la comunità dei giusti non potrà fare a meno di prestare ad essa liberamente il proprio consenso e la propria obbedienza.
Con Hobbes si ha la definitiva rottura con la tradizione. Il filosofo inglese configura infatti l’(—) una facoltà di cui tutti gli individui sono dotati: si tratta del diritto naturale di tutti su tutto, che genera un inevitabile conflitto tra gli individui.
Per porre fine al naturale stato di guerra tra gli uomini e assicurare la pace sociale, Hobbes ricorre ad un’(—) artificiale di natura razionale e convenzionale, la sovranità, che assomma tutte le singole autorità naturali e si pone come entità superiore. L’(—) diventa dunque sinonimo di potere legittimo e razionale, personificato in uno Stato che agisce attraverso leggi [vedi Legge] valide universalmente.
Nell’Ottocento, i pensieri liberale e socialista oppongono all’(—) intesa come sinonimo di costrizione esterna il concetto di (—) intesa come libertà del singolo, concepito quale essere dotato di ragione e quindi libero e uguale. Tale concezione trova piena realizzazione nello Stato rappresentativo: all’autorità rappresentativa del sovrano i singoli prestano liberamente fiducia e obbedienza, poiché in essa si identificano.
Nel Novecento viene meno la fiducia nell’(—) dello Stato e l’attenzione si sposta sull’(—) dell’ordinamento giuridico. In particolare, entrano in crisi i concetti di Stato di diritto e di autorità sovrana del medesimo come unica forma di legittimazione razionale e universale. A tali concetti si sostituisce una concezione positivistica che pone l’accento sulla legittimità della legge effettivamente vigente.
Ad ogni modo, l’(—) impone sempre il riconoscimento, da parte dei destinatari della medesima, di un vincolo oggettivo, ossia il riconoscimento che vi è una valida ragione per subordinare ad essa la propria volontà e le proprie azioni.
In teoria generale del diritto è il complesso degli organismi a cui una norma giuridica attribuisce il compito di produrre diritto.
Politicamente, il concetto di (—) è il fondamento di legittimità del potere in generale.
Nella Roma dell’età repubblicana l’auctoritas senatus, distinta dal potere politico delle magistrature popolari, legittimava queste ultime attraverso il conferimento di un’efficacia fondata sulla tradizione.
Con la crisi della repubblica e l’ascesa di Ottaviano, l’(—) diventa una prerogativa del princeps. A partire dal III sec. d. C. il concetto di auctoritas principis diviene sinonimo del potere politico illimitato dell’imperatore.
L’elaborazione del moderno concetto di (—) si ha a partire dal XVI sec.
Lutero e la riforma protestante concepiscono l’(—) non come garanzia della fondatezza del potere ma come il potere più alto. È dotato di (—) chi esercita in concreto il potere, che è espressione del comando divino. In quanto l’(—) discende direttamente da Dio, la comunità dei giusti non potrà fare a meno di prestare ad essa liberamente il proprio consenso e la propria obbedienza.
Con Hobbes si ha la definitiva rottura con la tradizione. Il filosofo inglese configura infatti l’(—) una facoltà di cui tutti gli individui sono dotati: si tratta del diritto naturale di tutti su tutto, che genera un inevitabile conflitto tra gli individui.
Per porre fine al naturale stato di guerra tra gli uomini e assicurare la pace sociale, Hobbes ricorre ad un’(—) artificiale di natura razionale e convenzionale, la sovranità, che assomma tutte le singole autorità naturali e si pone come entità superiore. L’(—) diventa dunque sinonimo di potere legittimo e razionale, personificato in uno Stato che agisce attraverso leggi [vedi Legge] valide universalmente.
Nell’Ottocento, i pensieri liberale e socialista oppongono all’(—) intesa come sinonimo di costrizione esterna il concetto di (—) intesa come libertà del singolo, concepito quale essere dotato di ragione e quindi libero e uguale. Tale concezione trova piena realizzazione nello Stato rappresentativo: all’autorità rappresentativa del sovrano i singoli prestano liberamente fiducia e obbedienza, poiché in essa si identificano.
Nel Novecento viene meno la fiducia nell’(—) dello Stato e l’attenzione si sposta sull’(—) dell’ordinamento giuridico. In particolare, entrano in crisi i concetti di Stato di diritto e di autorità sovrana del medesimo come unica forma di legittimazione razionale e universale. A tali concetti si sostituisce una concezione positivistica che pone l’accento sulla legittimità della legge effettivamente vigente.
Ad ogni modo, l’(—) impone sempre il riconoscimento, da parte dei destinatari della medesima, di un vincolo oggettivo, ossia il riconoscimento che vi è una valida ragione per subordinare ad essa la propria volontà e le proprie azioni.