Grazia

Grazia [potere di] (d. cost.)
Atto di clemenza con il quale viene condonata, in tutto o in parte, la pena principale inflitta, ferme restando le pene accessorie e gli altri effetti penali della condanna. Rientra tra le cause di estinzione della pena in quanto presuppone una sentenza irrevocabile di condanna. Si differenzia dall'indulto in quanto ha carattere particolare: destinatario, cioè, è un soggetto determinato.
L'esercizio del potere di (—) risponde a finalità essenzialmente umanitarie, da apprezzare in rapporto a una serie di circostanze inerenti alla persona del condannato idonee a giustificare l'adozione di un atto di clemenza individuale, il quale incide pur sempre sull'esecuzione di una pena definitivamente inflitta da un organo imparziale, il giudice, con le garanzie formali e sostanziali offerte dall'ordinamento del processo penale.
La funzione della (—) è, dunque, quella di garantire il senso di umanità cui devono ispirarsi tutte le pene, non senza trascurare il profilo di rieducazione della pena.
È evidente, altresì, come — determinando l'esercizio del potere di (—) una deroga al principio di legalità il suo impiego debba essere contenuto entro ambiti circoscritti destinati a valorizzare soltanto eccezionali esigenze di natura umanitaria.
L'analisi della prassi formatasi sulla concessione della (—) dopo l'avvento della Costituzione pone in evidenza l'esistenza di un'evoluzione della funzione assolta dalla (—). Se infatti molto frequente, fino alla metà degli anni &lquot;80 del secolo appena concluso, si è presentato il ricorso a tale strumento, tanto da legittimare l'idea di un suo possibile uso a fini di politica penitenziaria, a partire dal 1986 si è assistito ad un ridimensionamento nella sua utilizzazione: valga, a titolo esemplificativo, il raffronto tra i 1.003 provvedimenti di clemenza dell'anno 1966 e gli appena 104 adottati nel 1987, ma il dato numerico è ulteriormente diminuito negli anni successivi, riducendosi fino a poche decine. Un'evenienza, quella appena indicata, da ascrivere come si notava all'introduzione di una apposita legislazione in tema di trattamento carcerario ed esecuzione della pena detentiva. Ciò nella convinzione che le ordinarie esigenze di adeguamento delle sanzioni applicate ai condannati alle peculiarità dei casi concreti esigenze fino a quel momento soddisfatte in via pressoché esclusiva attraverso l'esercizio del potere di grazia dovessero realizzarsi mediante l'impiego, certamente più appropriato anche per la loro riconduzione alla sfera giurisdizionale, degli strumenti tipici previsti dall'ordinamento penale (ad esempio, liberazione condizionale, detenzione domiciliare, affidamento ai servizi sociali ed altri).
Ciò ha fatto sì, dunque, che l'istituto della (—) sia stato restituito alla sua funzione di eccezionale strumento destinato a soddisfare straordinarie esigenze di natura umanitaria.
L'art. 87, undicesimo comma, della Costituzione, dettando una disposizione sostanzialmente identica all'art. 8 dello Statuto albertino, sancisce che il Presidente della Repubblica può concedere grazia e commutare le pene.
Il punto critico consiste nello stabilire quale tipo di relazione intercorra tra il Capo dello Stato, titolare del potere di grazia, e il Ministro della giustizia, il quale, responsabile dell'attività istruttoria e quindi a tale titolo partecipe del procedimento complesso in cui si snoda l'esercizio del potere in esame, è chiamato a predisporre il decreto che dà forma al provvedimento di clemenza, nonché a controfirmarlo e, successivamente, a curarne l'esecuzione.
Sul punto si è sviluppato un ampio dibattito nel corso del quale sono emersi diversi orientamenti, che vanno dalla configurazione della grazia come atto costituente prerogativa presidenziale a quella di un atto complesso, alla cui formazione dovrebbero concorrere, in modo paritario, le due volontà del Presidente della Repubblica e del Ministro guardasigilli, non senza passare attraverso posizioni intermedie.
In via preliminare, occorre puntualizzare che il decreto di (—) è la risultante di un vero e proprio procedimento che si snoda attraverso una pluralità di atti e di fasi. Tale procedimento è stato tenuto presente dallo stesso legislatore costituente nel momento in cui, con l'art. 87, undicesimo comma, Cost. ha annoverato tra i poteri del Capo dello Stato quello di concedere la grazia e commutare le pene.
L'analisi di tale complessa procedura deve muovere dalla lettura dell'art. 681 c.p.p., il quale prevede, innanzitutto, che l'iniziativa può essere assunta dal condannato o da un suo prossimo congiunto, dal convivente, dal tutore, dal curatore, da un avvocato, che sottoscrivono la domanda di grazia diretta al Presidente della Repubblica e presentata al Ministro della giustizia (comma 1).
La medesima disposizione riconosce espressamente la possibilità che la (—) sia concessa anche in assenza di domanda o proposta (art. 681, comma 4, c.p.p.). In ogni caso, l'iniziativa può essere assunta direttamente dal Presidente della Repubblica.
Instaurato il procedimento, la prima fase è quella dell'istruttoria, che ai sensi dell'art. 681, comma 2, c.p.p., prevede uno svolgimento differenziato a seconda che il condannato risulti, o meno, detenuto o internato: nel primo caso, è il magistrato di sorveglianza che, acquisiti tutti gli elementi di giudizio utili e le osservazioni del Procuratore generale presso la competente Corte di appello, provvede alla loro trasmissione al Ministro della giustizia, unitamente a un motivato parere.
Nella seconda ipotesi è, invece, direttamente il Procuratore generale a trasmettere al Guardasigilli le opportune informazioni con le proprie osservazioni.
Tra gli elementi di giudizio da utilizzare ai fini della concessione, o meno, della clemenza vanno ricompresi quelli desumibili dalla sentenza di condanna, dai precedenti dell'interessato e dai procedimenti in corso a suo carico, le dichiarazioni delle parti lese o dei prossimi congiunti della vittima e le informazioni inerenti alle condizioni familiari e a quelle economiche, alla condotta dell'interessato.
La valutazione di suddetti elementi è effettuata in sede ministeriale. A conclusione della istruttoria il Ministro decide se formulare motivatamente la proposta di (—) al Presidente della Repubblica ovvero se adottare un provvedimento di archiviazione.
Se il Guardasigilli formula la proposta motivata di (—), spetterà al Presidente della Repubblica valutare autonomamente la ricorrenza di quelle ragioni essenzialmente umanitarie che giustificano l'esercizio del potere in esame. In caso di valutazione positiva del Capo dello Stato seguirà la controfirma del decreto di (—) da parte del Ministro, che provvederà a curare anche gli adempimenti esecutivi.
Qualora il Presidente della Repubblica abbia sollecitato il compimento dell'attività istruttoria ovvero abbia assunto direttamente l'iniziativa di concedere la (—), il Guardasigilli, non potendo rifiutarsi di dare corso all'istruttoria e di concluderla, determinando così un arresto procedimentale, può soltanto rendere note al Capo dello Stato le ragioni di legittimità o di merito che, a suo parere, si oppongono alla concessione del provvedimento. Ammettere che il Ministro possa o rifiutarsi di compiere la necessaria istruttoria o tenere comunque un comportamento inerte, equivarrebbe ad affermare che egli disponga di un inammissibile potere inibitorio, una sorta di potere di veto, in ordine alla conclusione del procedimento volto all'adozione del decreto di concessione della grazia voluto dal Capo dello Stato.
Il Presidente della Repubblica, dal canto suo, nell'ipotesi in cui il Ministro guardasigilli gli abbia fatto pervenire le sue motivate valutazioni contrarie all'adozione dell'atto di clemenza, ove non le condivida, adotta direttamente il decreto concessorio, esternando nell'atto le ragioni per le quali ritiene di dovere concedere ugualmente la grazia, malgrado il dissenso espresso dal Ministro.