Fisco

Fisco

Termine che non si rinviene più nei testi legislativi vigenti e che scomparve, quasi completamente, negli ordinamenti preunitari successivi alla codificazione napoleonica [vedi Code Napoléon].
Nel linguaggio comune il vocabolo (—) viene oggi usato come sinonimo di finanza, specialmente per indicare il complesso degli organi e degli uffici che ne formano l’apparato ammininistrativo e frequentemente si adopera l’aggettivo fiscale come sinonimo di tributario.
Nel diritto romano il termine fiscus, originariamente indicante i recipienti di vimini, passò ad indicare in età repubblicana i raccoglitori di monete (anche fatti con materiale più resistente) e, più specificamente, i recipienti destinati a custodire il pubblico denaro. Con l’avvento del principato augusteo sorse il Fiscus Caesaris [vedi] quale patrimonio semi-pubblico appartenente all’imperatore e dal quale questi poteva liberamente attingere a suo piacimento, contrapposto all’aerarium populi Romani (o aerarium Saturni) gestito da due questori urbani. Con l’assunzione, nel 27 a.C. da parte di Ottaviano di varie province (che si dissero imperiali, per distinguerle da quelle senatorie, amministrate da senatori), una cospicua parte delle finanze dello Stato romano passò sotto il diretto controllo dell’Imperatore. Furono introitati dal Fiscus Caesaris e non più dall’aerarium i tributi provenienti dalle suddette provincie, i beni dei condannati a pena capitale (bona damnatorum), i beni dei defunti privi di eredi (bona vacantia) e i beni devoluti mortis causa a persone incapaci di ricevere (bona caduca). L’amministrazione del Fiscus Caesaris fu affidata ad una segreteria centrale, composta da procuratores appartenenti all’ordine equestre. Nel costituirsi di tale segreteria devono ravvisarsi le fondamenta del fisco imperiale. Con l’avvento di Diocleziano (284), venendo lo Stato ad incarnarsi nella figura dell’imperatore, venne meno la contrapposizione tra Fiscus Caesaris ed aerarium ed i due termini furono utilizzati come sinonimo di finanza imperiale, da contrapporre alla res privata (complesso di beni configuranti una sorta di patrimonio della corona) e al patrimonium (complesso di beni propri della dinastia regnante).
Nel diritto altomedievale venne meno la distinzione tra pubblico e privato: il sovrano germanico amministrò i rapporti pubblici e privati senza distinguerne la diversa natura, incamerando tributi ed impiegandoli indifferentemente, sia per soddisfare le esigenze della propria famiglia, sia per stipendiare i propri funzionari, sia per compiere spese nell’interesse della comunità. Per tutto l’alto medioevo il carattere pubblico dei beni derivò, dunque, non dalla loro destinazione ma, piuttosto, dal loro trovarsi in qualche modo nella disponibilità materiale del sovrano: fiscus fu il demanio ed il patrimonio del monarca.
I Glossatori [vedi] della scuola di Bologna (XII secolo) diedero del (—) una caratterizzazione marcatamente pubblicistica, definendolo come una sorta di cassa regia, distinta dal patrimonio personale dell’imperatore. Veniva, quindi, in risalto accanto al criterio della pertinenza anche quello della funzione assunta dai diversi gruppi di beni: fiscali erano i diritti spettanti all’imperatore in quanto tale e patrimoniali erano quelli che gli competevano alla stregua dei privati. Tale concezione durò incontrastata fino a tutto il Settecento.
La Rivoluzione francese [vedi] fece crollare il mito del monarca voluto da Dio a personificare la potestà pubblica ed esaltò il concetto di Stato, nel quale confluirono tutti i diritti e tutti i poteri che per secoli erano stati ricondotti al sovrano. Anche il (—) venne assorbito dallo Stato e dalla personalità giuridica di quest’ultimo e si trasformò in semplice strumento dell’amministrazione.