Disconoscimento della paternità

Disconoscimento della paternità [azione di] (d. civ.)
È l'azione che mira a fare cadere la presunzione di paternità del marito, posta dall'art. 231 c.c. (secondo cui il marito è padre del figlio concepito durante il matrimonio, ossia del figlio nato dopo almeno 180 giorni dalla celebrazione del matrimonio e prima del decorso di 300 giorni dall'annullamento, dallo scioglimento o dalla cessazione degli effetti civili del matrimonio).
L'azione è consentita solo nei casi seguenti (art. 235 c.c.):
— se i coniugi non hanno coabitato nel periodo compreso fra il trecentesimo ed il centottantesimo giorno prima della nascita;
— se durante il tempo predetto il marito era affetto da impotenza, anche soltanto di generare;
— se nel detto periodo la moglie ha commesso adulterio o ha tenuto celata al marito la sua gravidanza e la nascita del figlio.
In quest'ultimo caso il marito è ammesso a provare che il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del presunto padre e qualsiasi altro fatto tendente ad escludere la paternità.
Si tenga presenta che la Corte cost., con sent. 6-7-2006, n. 266, ha dichiarato tale previsione illegittima nella parte in cui subordina l'esame delle prove tecniche alla previa dimostrazione dell'adulterio della moglie.
In caso di accoglimento dell'azione, il figlio risulta figlio naturale riconosciuto dalla madre.
Bisogna aggiungere che il (—) non è ammissibile qualora si ricorra a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo in violazione delle attuali disposizioni di legge (L. 19-2-2004, n. 40).